Roma, 15 gen – Gennaro Sangiuliano cita Dante come fondatore del pensiero di destra italiano. E come avevamo previsto, la sinistra impazzisce, dopo aver dato già nelle prime ore successive all’uscita del ministro, segnali di insofferenza (a mezzo stampa).

Sangiuliano e Dante “di destra”: i fegati della sinistra non reggono

Fegati di sinistra, o quanto meno di centrosinistra, in subbuglio. Dall’adolescenziale “ma si può?” di Carlo Calenda su Twitter, fino alla sfuriata più consistente, che non poteva che essere piddina. E così il partito del Nazareno commenta, per bocca del capogruppo Irene Manzi, le parole del ministro in questo modo: “Il ministro Sangiuliano lasci stare almeno Dante. Capiamo che è un ottima fonte di pubblicità e che al Ministro piace pronunciare parole in libertà, ma non scomodiamo il padre della lingua italiana per analisi risibili e caricaturali”. I grillini, dall’alto del loro profilo elevatissimo, definiscono una “colossale sciocchezza”, l’affermazione di Sangiuliano: “Un ministro della cultura che colloca una figura come quella di Dante Alighieri a destra si qualifica da solo. La sua più che una provocazione è una colossale sciocchezza, davanti alla quale lo stesso Dante avrebbe suggerito ‘non ragioniam di lui, ma guarda e passa’”.

Un pensiero forzato? Sì e no: ma non è quello il punto

Chiariamo una questione: è impossibile inquadrare in modo politcamente contemporaneo il pensiero di un letterato, di fatto fondatore della lingua italiana, vissuto a cavallo tra i secoli XIII e XIV dopo Cristo. Questo per una serie di innumerevoli ragioni che forse è pure stupido sottolineare in termini di differenze contestuali, sociali, storiche e quant’altro. Difficile, però, pensare che un uomo di cultura come Sangiuliano non fosse consapevole di tutto ciò, quando ha espresso quel parere. Credo invece che volesse rilanciare un tema di radici nazionali, prima ancora che politiche, al quale, indubbiamente, la destra ha sempre attinto, differentemente dalla sinistra, per lo meno in Italia, dal secondo decennio del secolo scorso in avanti (escludendo, per ovvie ragioni, la destra e la sinistra storiche che hanno rappresentato tutt’altra faccenda).

Vi ha attinto nonostante gli equivoci missini sulla svalutazione del Risorgimento (con l’unico risultato utile di “darlo in pasto” a una sinistra che non aveva la benché minima intenzione di esaltarlo) e la confusione che, in generale, ha permeato la politica italiana dal 1945 in poi. Ammesso e non concesso di considerare il fascismo storico “di destra” (operazione che, per semplificare, si può anche fare, ma che non corrisponde alla realtà) è ovvio che nessuno si sognerebbe mai di definire Dante “un camerata” (e questo, sì, è proprio stupido doverlo sottolineare, ma in questo mondo è necessario svolgere anche operazioni di questo tipo, perché a sinistra c’è qualche sveglione che in questo momento lo sta pensando sul serio, e ci potete mettere la mano sul fuoco).

D’altronde è pur vero che il poeta fu di fatto un sostenitore dell’Impero nell’esercizio del potere politico, nella diatriba tutta medievale sulla necessità di lasciare alla Chiesa solo il potere spirituale, eliminando proprio quello temporale che più di ogni altro ostacolò la formazione dell’Unità della Patria: lo fu in uno degli atti della sua infinita produzione letteraria, nell’ottica di una separazione tra potere temporale e spirituale che nel De Monarchia diventa esplicita. Questo, qualcosa di riconducibile alla destra, da sempre affascinata dalla “idea” imperiale, indubbiamente ce l’ha.

In ogni caso, è difficile produrre prediche credibili da parte di chi, negli ultimi anni, ha provato a rendere il sommo Dante Alighieri addirittura simbolo dell’accoglienza degli immigrati clandestini, usando volgarmente e vergognosamente il suo nome quale icona  della cosiddetta “Giornata mondiale del rifugiato”. Sarebbe solo il caso di stare zitti, dopo operazioni di propaganda simili e oltre ogni limite dell’indecenza. Ma Dante, si sa, fa gola. Troppo importante e troppo insindacabile. Che qualcun altro provi ad appropriarsene politicamente non può far piacere.

Stelio Fergola

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