Il monologo della quarta serata
Elena Del Mastro — 11 Febbraio 2023
“Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio. Ora, io, Chiara, un figlio non ce l’ho, però credo sia una cosa dopo la quale è chiaro non potrai più essere più giovane come lo eri a sedici anni, col motorino, la discoteca e il liceo. E c’è un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga”. Chiara Francini, 43 anni, attrice toscana, ha iniziato così il suo monologo sul palco di Sanremo. E ha voluto trattare un tema per lei molto personale: la maternità vista da una donna che non ha figli e il senso di colpa. La maternità che diventa obbligo sociale.
“Ma… inizia sempre da una che lo sapevi sarebbe diventata mamma prima di tutte. Nel mio caso, la Lucia. C’è stato un giorno, qualche anno dopo il liceo, che la Lucia mi ha chiesto di vederci. Eravamo sedute al bar della piscina, lei mi guardava tutta emozionata… e a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto mi fa: “ODDIOOOOO!!! Finalmente posso dirtelo! Sono incinta!”. Incinta. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare”.
“Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro. Una specie di buco che ti si apre, in mezzo agli organi vitali, una specie di paura, stordimento, e, mentre accade tutto questo, tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole solo essere festeggiata. E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare. Come l’albero di Natale che tengo acceso tutto l’anno in salotto, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine, anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato. “Ma Lucia, ma è stupendo!” … E poi, non sapere più cosa dire. Ed era solo l’inizio, perché di lì a poco mi sembrava che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo, avrebbero avuto un figlio. Passeggini, passeggini ovunque. Un esercito di donne coi capelli corti e di maschi stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni di amore. E io, io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano”.
“E poi. E poi a un certo punto io mi sono accorta che il tempo passava e che se non mi sbrigavo io, forse, un figlio non lo avrei mai avuto. E se anche mi sbrigavo, poi, non era mica detto. Perché anche quando ti decidi che è il momento giusto poi, magari, il corpo ti fa il dito medio e tu, allora, rimani col dubbio di aver aspettato troppo, di essere una fallita. La parte più difficile di fare un figlio è immaginarlo. Immaginarsi come sarà. E se poi non condivido niente di quello che fa nella sua vita? E se viene troppo diverso da me? Nel mio caso di sicuro verrà diverso da me! Ma io vorrei sapere come faccio con te, bambino? Ancora non sei nato e già non ci capiamo. Essere figlio di una madre come me ti causerà solo dei problemi. Se sarai maschio io so e, quasi spero, che sarai gay e t’amerò così tanto. Però forse preferirei non lo fossi, perché sarà più difficile e io vorrei che per te fosse facile. Ti prego vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che si deve odiare, il male, l’ingiustizia, perché è con quell’odio che si fanno le cose. Non è vero che si fa con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile. Ti prego non essere una di quelle creature indifese, troppo buone. Perché poi dovrei cercare di difenderti tutto il tempo. E c’è il rischio che tu venga su meno capace di guardare, di camminare. Io vorrei fare come mia madre che non mi ha mai preso nel suo lettone. Piangerai nel tuo letto. Devo essere abbastanza forte da lasciarti piangere. Non devo essere debole”.
“Ma lo vedi come parlo? Sembra che tutto dipenda da me, come se tu non esistessi già da prima di esistere. Io da qualche parte penso di essere una donna di me**a perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli. Razionalmente so che non è così, ma da qualche parte, dentro di me, c’è questa voce, esiste, e io, alla fine, penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata. E io già lo so, bambino, tu mi porterai via tutta la creatività, tutta la luce, ci sarai solo tu al centro della scena e io sarò una semplice comparsa e poi diventerò grande e poi vecchia e non potrò più fare finta che il tempo non stia passando, perché ci sarai sempre tu, lì, a ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù è finita. E io penso che mi farai così felice, che poi non mi farai davvero così felice, perché è così che funzionano le cose della vita: non sono mai come te le eri aspettate. E io ti aspetto e ti desidero così tanto che sarai per forza una delusione. Ma come parlo…? Ma che mamma sono? Non ancora non sono una mamma… Ma quanto mi è costato diventare come sono? Quanto costerà a te? E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a tutta questa rabbia, a questo amore, io, ora, non so dove metterti. O, forse, sei proprio tu che non vuoi venire da me, perché credi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita. Ma io volevo solo essere brava, io volevo solo essere preparata, io volevo che tu fossi fiero di me. Anche se ancora non ci sei. Forse, perché ci sei sempre stato”.
Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
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