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«Mezzogiorno di Focus», le voci dei protagonisti

Nel sangue il Sud e la voglia di raccontarlo al di là dei luoghi comuni. È quello che fa Gloria Giorgianni, siciliana, produttrice cinematografica di film e serie tv, docufilm, con la sua casa di produzione Anele. Ieri Giorgianni è intervenuta a Bari a «Mezzogiorno di focus».

Giorgianni, che racconto è quello del Sud che si fa attraverso uno strumento come l’audiovisivo?
«Sono siciliana e cerco di provare a fare un racconto del Sud che sia fuori dagli stereotipi. Parlando dell’audiovisivo credo che in questo momento il settore dell’audiovisivo sia in crescita. Nell’ultimo rapporto fatto da APA (Associazione Produttori Audiovisivi, ndr.) sulla produzione audiovisiva nazionale, si evidenzia il dato molto interessante che all’interno del mercato la fascia più rilevante, quella delle fiction, ben il 74 per cento, è della Rai. Quindi è importante a mio avviso considerare il racconto audiovisivo come Made in Italy. Il nostro racconto è Made in Italy ed è una colonna portante soprattutto del servizio pubblico. Bisogna provare quindi a rendere ancora più identitario il nostro racconto, soprattutto il racconto del Sud».

Come?
«I territori devono diventare propositori di progetti intorno ai quali creare la struttura industriale. Non soltanto accogliere le produzioni come avviene in moltissime regioni con le Film Commission, come fa la Puglia, ma far ideare il prodotto nei territori, farlo crescere lì, perché questo tiene lontano lo stereotipo e rafforza l’identità. Attorno a questo avere la forza di creare l’industria. Questo è un momento cruciale in cui farlo. In una fase così di sviluppo del mercato, la Rai deve rendersi volano del racconto italiano considerando il prodotto infrastruttura. Il racconto è infrastruttura per un’azienda come la Rai ed è anche una infrastruttura che rappresenta l’Italia da un punto di vista culturale e politico».

Sul tema dell’imprenditoria culturale, lei ha da poco prodotto una docufiction su Arnoldo Mondadori.
«Ho molto voluto questo progetto. C’è un passaggio fondamentale che ho voluto inserire come scena. Mondadori, quando i nazisti distruggono le sue macchine e deve reinvestire, va in America a dire “Mi date i soldi del Piano Marshall?”. Oggi l’Italia ha l’occasione del PNRR che non può essere considerato lontano dal nostro mondo, perché quello che facciamo non solo è cultura ma è infrastruttura culturale. Noi contribuiamo all’immagine, il racconto del nostro Paese che va anche all’estero. E credo ci siano ancora molti margini per implementarlo questo racconto perché continua a essere un racconto sempre con lo stesso segno, appunto molto legato allo stereotipo. E per il Sud è sempre uno stereotipo racchiuso fra i malavitosi e la polizia, i magistrati. Ma il Sud è fatto anche di altre realtà».

Il Sud fuori dai luoghi comuni. In questo senso c’è un altro progetto che lei ha realizzato in Calabria. Ce lo racconta?
«Grazie alla Film Commission calabrese, guidata da Giovanni Minoli, abbiamo costruito una serie, ispirata al format delle “Illuminate” che io produco su la Rai sulle grandi donne italiane, “Donne di Calabria” parlando di sei donne del territorio sconosciute a livello nazionale per lo più, coinvolgendo il più possibile le maestranze locali. È andato su Rai Storia, e su Rai Italia, quindi lo hanno visto anche gli italiani all’estero. Sulla base di quello io sto già lavorando a “Donne di Campania”, a “Donne di Sardegna” e vorrei fare anche “Donne di Puglia”, e sto cominciando a dialogare anche con altre regioni perché l’idea è quella di fare un racconto di tutte le donne regionali. L’idea è quella di rendere i territori coproduttori del progetto».

Ci sono altri personaggi simbolo di impresa e cultura che vorrebbe raccontare? E tra questi sua zia, l’editore Elvira Sellerio?
«Mia zia ha fatto una grande impresa culturale in Sicilia, con grandissimo coraggio. Per me è un esempio, mi piacerebbe raccontarla al meglio. Credo sia giusto prendere un po’ di tempo ancora per avere la giusta distanza e fare un racconto il più vero possibile».

Piccarreta, architetto, segretario regionale del Ministero della Cultura (MiC) per la Puglia, è intervenuta al forum «Mezzogiorno di focus» sottolineando la necessità di un rapporto costante tra pubblico e privato nel nome della cultura.

Piccarreta, qual è la relazione tra istituzione pubblica e impresa privata nella valorizzazione culturale?
«È una relazione importante. In Puglia abbiamo costruito una serie di esperienze molto interessanti e significative di collaborazione, di condivisione di alcuni obiettivi che dimostrano come da un lato la salvaguardia del patrimonio non solo non è in contrapposizione con lo sviluppo del mondo imprenditoriale ma anzi può realizzare una valorizzazione reciproca. Attuando questa strategia, ad esempio, negli anni scorsi ho stretto dei partnerariati pubblico-privato nei quali davo in mano dei monumenti a imprese culturali con degli obiettivi molto precisi. Le azioni per raggiungere quegli obiettivi di fruizione, tutela, salvaguardia, conservazione ma anche narrazione erano pienamente nell’egida delle imprese culturali partner. Collaborazioni che tutt’oggi sono in essere e hanno portato anche a dei numeri significativi nel panorama del territorio pugliese con delle ricadute anche di piccole economie».

Facciamo qualche esempio?
«Il castello Alfonsino di Brindisi, il castello Carlo V a Lecce, o anche l’area archeologica di Rudiae a Lecce. I comuni di Latiano e Mesagne nel Brindisino stanno lavorando in tal senso per l’insediamento di Muro Tenente. Ci sono delle realtà nell’ambito legato ai monumenti che dimostrano come il connubio di cui parliamo non sia solo utile ma crei anche rapporti duraturi».

Quindi non c’è una sorta di rivalità tra pubblico e privato in questi ambiti?
«Non c’è contrapposizione, anzi. Pensiamo agli incontri che abbiamo fatto sul paesaggio fino a dicembre scorso, per esempio, dove Confindustria ha partecipato in maniera molto attiva, condividendo appieno le nostre finalità. Una eventuale contrapposizione può sorgere nel momento in cui manca un rapporto paritario e un leale rispetto reciproco dei ruoli, ma nel momento in cui il valore culturale e il valore paesaggistico diventano paradigmi essi stessi di una collaborazione duratura che tra l’altro permette l’autosostentamento di molte realtà culturali che altrimenti non ci sarebbe».

Questo stesso discorso si potrebbe applicare anche alla valorizzazione e tutela degli archivi storici? Pensiamo al nostro archivio della «Gazzetta» che è «di interesse storico» secondo la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Puglia…
«Certo. Assolutamente sì. Noi stiamo lavorando con i colleghi degli archivi della biblioteca nazionale pe vedere di supportare il cronico problema riguardo la mole dei documenti, cercando di capire se è possibile creare un progetto che da un lato supporti gli uffici a gestire i fondi antichi e i fondi librari e allo stesso tempo permetta anche una valorizzazione, una narrazione, una conoscenza. Tutto il mondo della cultura è declinabile in questo modo. Sono beni che devono parlare oggi e devono avere una loro vita oggi. L’Archivio della “Gazzetta” è un patrimonio eccezionale e se non si vede in questa chiave diventa un gran peccato perché gli si preclude una valorizzazione che invece merita».

Nell’ultimo anno la Puglia è esplosa dal punto di vista turistico. Quanto incide a suo avviso il patrimonio pugliese su questo successo?
«La cultura pugliese ha avuto un boom in tutte le sue sfaccettature e questo incide molto per questo bisogna preservare tutto ciò che la porta a essere così attrattiva. Bisogna avere una attenzione ancora maggiore, bisogna governare questo boom, e nello stesso tempo avere una strategia che porti a consolidare dei numeri eccellenti. Bisogna garantire la sussistenza di quello che ha reso la Puglia così attrattiva, o comunque governarne le trasformazioni in modo tale da non snaturare completamente questo patrimonio. La cultura, fatta di beni materiali e immateriali, è la ricchezza della Puglia».

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