Domani pomeriggio l’evento alla Camera con i ministri Fitto e Urso e il saluto del presidente della Camera per ricordare il democristiano. Mannino: “Credeva nella rappresentanza popolare e nella capacità di dare voce al corpo sociale. Ha mantenuto ferma l’identità della Dc e, se avesse proseguito la sua carriera politica, la piega degli anni 80 per il partito sarebbe stata molto diversa”

Marcora e Donat-Cattin. Li nomina sempre assieme, Calogero Mannino, ex ministro democristiano, quasi fossero due storie inscindibili. Due esponenti di spicco della Democrazia cristiana che “ne difesero l’identità e l’alterità rispetto a tutti gli altri partiti”. Domani pomeriggio alla sala della Regina di Montecitorio, verrà ricordato l’ex ministro dell’Agricoltura “Albertino” Marcora. Il convegno s’intitola “L’eredità e l’attualità di Giovanni Marcora” e al tavolo dei relatori, dopo i saluti istituzionali del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, prenderanno la parola il ministro agli Affari Europei Raffaele Fitto, il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, la sindaca di Inveruno Sara Bettinelli e il deputato Bruno Tabacci. “Il fatto che si sia deciso di ricordare Marcora – dice Mannino – è molto positivo. Un chiaro segnale di attenzione, ma è anche un segno che denuncia la totale assenza di precedenti storici da esibire da parte di questo esecutivo”.

Perché unire la storia di Carlo Donat-Cattin e di Albertino Marcora?

Perché loro rappresentavano la società della Pianura Padana. Erano due uomini con storie personali diverse, ma con tanti tratti comuni. Due politici della concretezza, tant’è che la morte dell’uno e la messa fuori gioco dell’altro (per la tragica vicenda del figlio) sancirono l’impossibilità di proseguire nella loro attività straordinaria sul territorio padano. Senza Marcora gli imprenditori non hanno più trovato un leader di riferimento.

Che legame aveva con l’ex ministro?

Fu lui che disse a De Rita, nel 1982 (governo Fanfani), di assegnarmi quella che fu la sua delega. L’agricoltura, appunto. Sul letto di morte, mi chiamò e mi disse che avrei dovuto assumermi una grande responsabilità. Disse che avrei dovuto conquistarmi la fiducia e la stima dei padani. Fra l’altro, una volta insediato al ministero, rimisi in piedi tutta l’organizzazione che lui aveva messo a punto.

Andiamo all’evento. Qual è l’eredità di Marcora?

Mi pare che, con i personaggi che popolano la politica attuale, non ci sia nessuno della sua levatura. La statura politica sua e di Donat-Cattin era solida, unica. Credevano nella rappresentanza popolare e nella capacità di dare voce al corpo sociale. Hanno mantenuto ferma l’identità della Dc e, se avessero proseguito la loro carriera politica, la piega degli anni 80 per il partito sarebbe stata molto diversa. Non si sarebbero mai “confusi” con i comunisti.

Saltiamo all’ultimo episodio di cronaca che riguarda la sua Sicilia, e Palermo: la cattura del boss Matteo Messina Denaro. 

È una notizia molto positiva, chiaramente. Si chiude il capitolo Cosa Nostra, seppur tardivamente. Ma c’è una coincidenza provvidenziale in tutto questo. Nello stesso tempo in cui Palermo celebra le esequie di un apostolo della carità, Biagio Conte, viene consegnato alla Giustizia il superboss della Mafia. È un segno provvidenziale nella storia degli uomini e di Palermo, nella prospettiva della sua rinascita morale e civile.