Per il rettore dell’Università politecnica delle Marche “Sarebbe più che auspicabile un coinvolgimento delle piccole e micro aziende sul versante Pnrr. La forza deve essere quella dell’aggregazione tra piccole realtà”. E sui settori produttivi: “Le pmi hanno un grande knowhow sulla transizione tecnologica ed energetica”

Il punto non è solo incassare la terza rata da 19 miliardi del Pnrr. Ma il vero obiettivo deve essere quello di generare un “impatto positivo” sulle micro e piccole imprese. Ossia su quell’ossatura produttiva sulla quale si regge, nei fatti, il sistema economico italiano. Il ministro agli Affari Europei, Raffaele Fitto, ribadisce che il Pnrr “è un’opportunità”. Affinché gli effetti siano il più possibile tangibili “occorre che il Governo guardi alle piccole imprese”. Ne è convinto il rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Gian Luca Gregori che a Formiche.net prova a fornire qualche coordinata in questo senso.

Rettore Gregori, partiamo da una prima considerazione sull’operato del governo. L’obiettivo della flessibilità sui tempi è ragionevole?

Certo, lo sforzo del governo in questo senso coglie un’istanza reale. Ma, oltre a ragionare sul tempo, occorre ragionare sull’effettiva capacità delle strutture organizzative (e di rendicontazione) di gestire questa molte di risorse che – teniamo a ribadirlo – è senz’altro un’opportunità, ma deve essere incanalata nel modo giusto.

Andiamo alle ricadute sulle piccole imprese. Sarà possibile che le risorse del Pnrr generino un effetto moltiplicatore e possano intervenire positivamente nel nostro sistema produttivo?

Il numero di aziende con un massimo di cinquanta addetti, in Italia, supera il 90% del totale. Per cui direi che è più che auspicabile un coinvolgimento delle piccole e micro aziende sul versante Pnrr. Prevedo due tipologie di ricadute: indirette e dirette. Su queste ultime occorre che i corpi intermedi favoriscano l’aggregazione delle piccole realtà produttive che, singolarmente, non avrebbero le caratteristiche per partecipare ai bandi.

Delle associazioni temporanee di imprese?

La formula può essere questa o di altro genere. L’importante è che ci sia un’azione decisa in questo senso. Nelle micro e piccole realtà spesso non ci sono neanche le caratteristiche strutturali per accedere ai bandi, ma se si uniscono le forze accorciando le filiere (attraverso la clusterizzazione delle realtà produttive), ecco che un apparente scoglio può trasformarsi in opportunità.

Quale deve essere l’azione della politica in questo senso?

Creare un terreno favorevole affinché si costituiscano questi gruppi di imprese che riescano a intercettare le risorse europee. Aggiungo che, a mio giudizio, si deve studiare una forma di complementarietà fra i fondi strutturali europei e quelli del Pnrr.

In quali ambiti lei ritiene che il ruolo delle piccole imprese possa essere determinante?

Le piccole imprese hanno sviluppato un know how di grande rilevanza nell’ambito dell’applicazione delle nuove tecnologie ai cicli produttivi. Credo che la transizione digitale, che rientra tra le missioni del Pnrr, passi dalle micro e piccole aziende. Alla transizione tecnologica si lega anche quella energetica: l’autoproduzione è una delle potenzialità maggiormente sviluppate delle micro e piccole realtà sul territorio. Ecco, in questa chiave, facendo leva sulla nostra forza manifatturiera, ritengo che le micro e piccole imprese assumeranno un ruolo determinante nella messa a terra del Pnrr e nel raggiungimento degli obiettivi che si prefigge.