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Gesù contro i mercanti di morte: a Castelveccana la Via Crucis anti spaccio

Castelveccana (Varese) –  Un prete contro lo spaccio. Una comunità che si mobilita. La Via Crucis del Venerdì santo a calpestare la via della droga nei boschi di Castelveccana, dove, il 10 febbraio, è morto un marocchino, raggiunto da un colpo sparato alla schiena. Contro lo spaccio ma anche contro l’indifferenza. A voler dare un percorso e un significato diverso alla Via Crucis è stato don Luca Ciotti, 53 anni, parroco dei centri della Valtravaglia, alle spalle dieci anni a Milano, nella parrocchia di San Bernardo, alla Comasina, e altrettanti da assistente dell’Azione Cattolica dei ragazzi e giovani.

Sei le stazioni, dalla frazione Nasca lungo la strada per Sant’Antonio, nelle vicinanze dell’area dello smercio. Per ogni fermata una preghiera e un tema: i venditori di morte, i galoppini dello spaccio, i destinatari della roba, i conniventi, preoccupati il futuro dei giovani e il presente delle famiglie, la morte degli uomini.

Don Ciotti, come è nata questa Via Crucis diversa?

“Da un incontro con il gruppo dell’Azione Cattolica di Castelveccana. Si parlava dell’uccisione del giovane nordafricano. Lo abbiamo ricordato nelle preghiere. La riflessione è stata che non è bene che la Chiesa rimanga muta e non cerchi di parlare alle coscienze. Ci sono momenti in cui è necessario alzare la voce se non si vuole che le cose finiscano nel dimenticatoio. È venuta fuori l’idea di una Via Crucis che calpestasse materialmente le vie dello spaccio, che ogni giorno vedono passare le auto di chi è in cerca di droga”.

Un atto di accusa contro lo spaccio?

“Da una parte c’è l’accusa, dall’altra la parte propositiva. Alla fine del cammino abbiamo raccolto le firme per un messaggio a istituzioni e cittadini. Inizia così: ‘I nostri boschi si sono insanguinati e noi non possiamo tacere di fronte alla morte di un uomo. Non possiamo tacere di fronte alla mancanza di libertà, perché le dipendenze (droga, alcol, gioco…) ci rendono schiavi. Non possiamo tacere perché non vogliamo essere complici’. Cinque punti. Informare: chiediamo di sapere a che punto siamo con i sistemi di sicurezza. Prevenire. Controllare se le macchinette per il gioco sono a norma. Segnalare. Muoversi per occupare gli spazi”.

Riprendersi il territorio contro lo spaccio?

“In questi boschi, su queste montagne, non si può più girare per una passeggiata. Allora la nostra proposta è quella di muoversi in gruppo, di fare gite, camminate, escursioni in mountain bike, organizzare concerti”.

Speranze di cambiamento?

La croce piantata nei boschi della droga

La croce piantata nei boschi della droga

“Abbiamo collocato la Croce sotto una betulla con la scritta: ‘Sì alla vita, no allo spaccio’. Magari fra un po’ la strapperanno, ma per ora è lì. Vicino abbiamo piantato un ulivo. Ha un suo significato. Giovedì l’arcivescovo ha consacrato in Duomo l’olio venuto dalla piana di Capaci, andato alle parrocchie. Un bel segnale. L’ulivo crescerà come cresce la vita”.

Come ha risposto la gente?

“C’erano trecento persone. La raccolta delle firme proseguirà nelle messe di questi giorni. Non è Don Luca. È una comunità che si deve muovere”.

Non teme ritorsioni?

“A Milano mi hanno bruciato l’auto due volte. Non è un problema. Ci si espone. Si mette la faccia. Anche Gesù si è esposto ed è finito in croce”.

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