Iniziato il 9 giugno del 2021 il processo Eternit bis, il processo per la morte di 392 persone, vittime dell’amianto nel territorio di Casale Monferrato segna un primo punto importante. La richiesta di ergastolo, con isolamento diurno, senza attenuanti, per l’imputato, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. I pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare, hanno avanzato la richiesta di fine mai nell’udienza del processo davanti alla Corte d’assise in corso a Novara nell’aula magna dell’Università del Piemonte Orientale, al termine delle requisitorie oggi pomeriggio.
L’imputato, ultimo proprietario dell’azienda deve rispondere di omicidio volontario, plurimo con dolo eventuale. Bruno Pesce rappresentante dell’associazione Afeva (Associazione familiari vittime amianto) di Casale Monferrato ha dichiarato al termine dell’udienza: “Non sappiamo cosa resterà di questa richiesta dopo la Cassazione, avendo in passato vissuto l’esperienza di preiscrizione del reato di disastro ambientale, e annullamento di condanne e risarcimenti. La richiesta dei pm oggi certifica, secondo quanto ricostruito, che l’imputato, arrivato nel 1976, sapeva e non ha fatto nulla per anni. Le morti si potevano evitare. Non tocca noi stabilire la pena. Importante era riconoscere che vi sono state delle colpe e far sì che la sentenza sia da monito perché certe vicende non si ripetano”. Lo scorso aprile l’imprenditore era stato condannato a Napoli per omicidio colposo.
Nel 2014 la Cassazione prosciolse per prescrizione l’imputato stabilendo che l’accusa di disastro colposo formulata dalla procura di Torino – che aveva retto i primi due gradi di giudizio portando alla condanna a 18 anni per Schmidheiny – era prescritta perché secondo loro il reato era stato commesso fino al 1986, anno in cui gli stabilimenti dell’Eternit in Italia avevano chiuso, e quindi non era in corso, come invece ritenevano le prime due sentenze sulla base dei tanti recenti casi di mesotelioma, un tumore ai polmoni che compare molti anni dopo aver respirato le fibre di amianto. In attesa della definizione del primo processo, la procura di Torino indagava sui decessi avvenuti in seguito ipotizzando un altro tipo di reato, cioè l’omicidio volontario con dolo eventuale. Approdata all’udienza preliminare con questa accusa, l’indagine era stata “spacchettata” dal gup Federica Bompieri che ha derubricato i fatti in omicidio colposo (meno gravi dal punto di vista delle pene) e stabilito la competenza territoriale di quattro tribunali diversi: Torino per i morti di Cavagnolo, Napoli per quelli legati all’area di Bagnoli, Reggio Emilia per quelli di Rubiera e infine Vercelli per quelli di Casale Monferrato.
Articolo Precedente
Nordio: “Il debole non è solo il povero. I più potenti sono più intimoriti davanti ai magistrati perché hanno più da perdere”