Roma, 26 gen – “Troppo è duro il dardo di Cupido anche al confronto della clava di Ercole”. Usava queste parole William Shakespeare in Pene d’amor perdute, ma certo forse non si sarebbe aspettato che l’eroe greco-romano e la sua clava potessero resistere all’usura dei millenni. Per raccontarvi di questa nuova scoperta archeologica, ancora una volta, dobbiamo tornare nella Città eterna che non finisce mai di sorprendere e svelare il suo importante passato. Siamo a Roma, tra la contrastante pace delle prime due miglia della Via Appia Antica, qui dove un tempo marciavano le centurie e correvano bighe e carri carichi di prodotti in arrivo dalle più remote terre dell’impero. Nei suoi 2300 anni di storia, l’Appia Antica si è guadagnata il titolo di “regina”, o meglio: “Regina viarum”. Ma la storia di questa antichissima strada romana è tutto tranne che statica; la via Appia, anzi, continua ad essere dinamica fonte di informazioni e ricchezze archeologiche senza eguali.
I lavori sulla via Appia Antica
Mentre tutto è ormai pronto per formalizzare la candidatura dell’Appia Antica tra i beni che meritano di essere considerati patrimonio dell’umanità nella lista UNESCO, dalle tanto discusse voragini del suo principale parco riemerge una straordinaria scoperta archeologica. Le prime due miglia dalle quali parte l’antica strada romana, da mesi sono interessati da vari scavi e lavori da parte della Soprintendenza e del Comune di Roma. Un’operazione tutt’altro che semplice e celere, che tanto per cambiare a raccolto le critiche dei tanti avventori delle bellissime aree verdi di cui gode il parco. Nel corso dei lavori di manutenzione e ripristino dell’amministrazione capitolina, gli operatori hanno intercettato anche una falda acquifera che ha impedito di scendere fino alla quota id 8 metri. Proprio questo doveva essere stato il livello di profondità nel quale scorreva la viabilità dei nostri antenati Romani. Gli scavi hanno però riportato “a galla” preziosi reperti e nuove ricche informazioni sulla vita dell’Urbe nei secoli.
Il passato dell’Urbe riemerge alle Terme di Caracalla
I reperti e le rovine più antiche rinvenute nel corso degli scavi appartengono al periodo governato dall’imperatore Adriano, ma si prolungano fino all’età severiana. Dalle tracce lasciateci dai nostri avi, i ricercatori possono ora studiare nuovi elementi sull’evoluzione urbanistica dell’intera area, al tempo dell’edificazione delle Terme di Caracalla. Strutture commerciali o residenziali, che i cittadini romani hanno continuato a utilizzare nei secoli successivi all’impero, fino al periodo medievale e oltre. Una testa di statua, una colonna con incisa un’iscrizione beneaugurale, pedine da gioco e antiche monete, sono solo alcuni dei reperti rinvenuti, appunto, nell’area di scavi difronte alle Terme di Caracalla, dove la Soprintendenza speciale di Roma ha condotto le ricerche di archeologia pubblica dedicata alla “Regina viarum”.
La fatica di ritrovare Ercole
Dopo settimane di movimentazioni di terra nel cantiere del parco, nel secondo miglio della via Appia Antica, per la bonifica del condotto fognario, il vecchio impianto è collassato in diversi punti provocando pericolose voragini e smottamenti della collina. Se però voragini, transennamenti e divieti di accesso a causa dei lavori hanno fatto spazientire gli abituali frequentatori del parco, le ultime scoperte di enorme rilevanza archeologica possono finalmente mettere d’accordo tutti: amministrazione e cittadini. Il Parco Ardeatino, detto anche Parco Scott, ci regala oggi una statua di marmo, a grandezza naturale, raffigurante senza dubbio alcuno il semidio Ercole. L’identificazione dell’eroe mitologico è stata molto semplice grazie al formidabile stato di conservazione del manufatto e alla presenza della celebre clava e della leontè, ovvero la pelle di leone con la quale Eracle usava ricoprirsi il capo. La statua rinvenuta dagli archeologi risale sicuramente al periodo romano, ma ora gli studiosi dovranno identificarne l’esatta datazione e la sua collocazione originaria.
Ercole difensore di Roma
Figlio umano di Giove, Eracle è un semidio greco venerato dai popoli italici come Ercole. Probabilmente introdotto dai coloni greci nella nostra penisola presso i popoli Sanniti e presso Latini e Sabini grazie alla cultura etrusca, Ercole fu accettato a Roma. Nella tradizione romana, il culto dell’eroe venne accolto dallo stesso Romolo come unica divinità straniera adorata nella Roma antica. Per celebrarne il culto, incaricato da Ottaviano Augusto, nell’Eneide il poeta mantovano Virgilio racconta le origini del rito in onore di Ercole in un dialogo tra Enea e re Evandro. Di ritorno dalla Spagna con i buoi sottratti al mostruoso gigante Gerione, Ercole approda nel Lazio. Le terre bagnate dal Tevere erano però infestate da un altro gigante: il terribile Caco. Il mostro ruba così all’eroe greco la mandria di buoi, provocando la rabbia vendicativa di Ercole che lo uccide, liberando le terre laziali da quella terrificante minaccia. Grati per essere stati liberati dal gigante, gli abitanti di quella che diventerà Roma dedicano al semidio un rito, un tempio e l’Ara massima di Ercole Invitto nel Foro boario, proprio là dove un tempo stagnavano le paludi del Velabro che lo videro approdare.
Primo uomo a conquistare l’Olimpo degli dèi, Ercole fu per i Romani grande esempio di forza, giustizia e determinazione umana in grado di incidere sul fato. Roma ne accolse dunque l’immagine facendone proprie le virtù, scrivendo nei secoli il proprio destino fino a divenire faro e spada dell’intera civiltà occidentale. Proprio di questi tempi moderni in cui ne vengono dimenticati ruolo e sacralità, ci piace pensare che Ercole sia riemerso dall’antica terra dell’Urbe per ricordarci la forza di un idea immortale come la sua città.
Andrea Bonazza
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