Roma, 23 gen – Dopo i tradizionali giallo e rosso, ha fatto il suo debutto anche un nuovo tipo di cartellino: il cartellino bianco. L’occasione è stata la partita di calcio femminile tra Sporting Lisbona e Benfica. Il nuovo cartellino serve ad incentivare i momenti di fair play. Una novità di cui nessuno sentiva davvero il bisogno.
Siamo in Portogallo, si gioca il match di coppa tra le squadre femminili dello Sporting Lisbona e del Benfica. È la fine del primo tempo, il Benfica è già avanti per 3 reti a 0 (per la cronaca, la partita terminerà 5 a 0), quando improvvisamente uno spettatore presente sugli spalti dello stadio “Da Luz” di Lisbona ha un malore. Gli staff medici di entrambe le squadre corrono sulle gradinate per prestare soccorso e dare una mano. Un gesto apprezzato da tutti i presenti, perfino dall’arbitro che risponde al nome di Catarina Campos. Quest’ultima si avvicina ai componenti degli staff medici delle due squadre e mostra loro un cartellino di un colore particolare. È, infatti, un cartellino bianco. Al posto dei classici cartellini giallo e rosso, i quali indicano delle infrazioni al regolamento, l’idea del cartellino bianco è quella di premiare i giocatori, sottolineando i gesti di fair play.
Tra inutilità e intenti moralistici
Il calcio ha superato senza troppi affanni regole strampalate come il golden goal o il silver goal, probabilmente supererà anche questa. È comunque interessante notare da una parte l’assoluta inutilità del nuovo cartellino, dall’altra l’intento moralizzatore dietro di esso. Due fattori peraltro che vanno sostanzialmente a braccetto. Infatti, il nuovo cartellino non è altro che una specie di pacca sulla spalla, di plauso per la buona condotta, il quale nel pratico non conduce a nulla. Rimane solamente una componente moralistica e un po’ bacchettona. Ma per mischiare il sacro e il profano, citando il grande scrittore tedesco Ernst Jünger: “È un errore ricorrente il credere che la cavalleria debba poggiare sulla reciprocità: questa pertiene più al suo eros che al suo ethos”.
Michele Iozzino
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