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Dall’Ucraina al Sud. Le sfide atlantiche di Peronaci per Minuto-Rizzo

Con l’allargamento a nord della Nato e le necessità legate alla guerra in Ucraina, la sfida per il nuovo rappresentante permanente italiano alla Nato, Marco Peronaci, sarà quella di mantenere l’attenzione dell’Alleanza al sud e al Mediterraneo. Parola di Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation e già vice segretario generale della Nato

A inizio anno l’ambasciatore Marco Peronaci è stato nominato rappresentante permanente presso il Consiglio Atlantico a Bruxelles, sostituendo nella posizione Francesco Maria Talò, diventato consigliere diplomatico del presidente del Consiglio. Prima dell’incarico è stato rappresentante permanente d’Italia presso il Comitato politico e di sicurezza dell’Unione europea. Airpress ha parlato con Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation e già vice segretario generale della Nato, delle sfide che attendono l’ambasciatore nel suo nuovo ruolo.

Presidente, che nomina è quella dell’ambasciatore Marco Peronaci?

Ritengo che non possa esserci nomina più azzeccata, nel senso che l’ambasciatore è da una parte un professionista molto collaudato, che ha avuto diversi incarichi di vario tipo, e soprattutto che viene dal Comitato per la politica e la sicurezza dell’Unione europea, dove era il rappresentante permanente italiano. Di conseguenza è perfettamente addentro proprio sulle tematiche di sicurezza internazionale e di politica estera. Questo mi sembra un fattore estremamente importante, nel senso che non è solamente un pure ottimo diplomatico, ma arriva da una esperienza estremamente attinente all’attuale ruolo, da un’ottica europea naturalmente. Aggiungo che a livello personale questa nomina mi fa particolarmente piacere perché io stesso ho seguito un percorso quasi analogo, essendo stato nominato segretario generale delegato della Nato dopo essere stato l’ambasciatore italiano al Comitato per la politica e sicurezza dell’Ue. Venendo da quel tipo di esperienza, so come sia importante questo passaggio.

L’ambasciatore Peronaci ha voluto sottolineare tra le priorità della sicurezza transatlantica il rapporto Nato-Ue. Il suo profilo può aiutare questa integrazione?

Sicuramente. Quando arrivai alla Nato l’allora segretario generale George Robertson mi incaricò di occuparmi proprio della cooperazione tra l’Alleanza e l’Unione, in una fase iniziale. Adesso questo rapporto è molto più sviluppato, ma è un indirizzo che deve essere necessariamente ampliato ulteriormente, e la nomina di Peronaci sarà un elemento positivo in questo senso.

Quali sono le principali sfide che lo attendono?

Peronaci si trova sicuramente a dover affrontare una crisi molto difficile com’è quella della guerra in Ucraina. In questo senso dobbiamo dire che l’Italia ha assunto una linea chiara fin dall’inizio di supporto a Kiev, e questo aiuta sicuramente il compito dell’ambasciatore. Poi c’è la difficolta legata all’estensione stessa della Nato, che oggi ricomprende trenta membri, destinati a diventare 32 con l’adesione di Svezia e Finlandia. Un sistema complicato in cui, chiaramente, le priorità nazionali sono meno allineate di prima. Perché è chiaro che avere 32 Paesi che la pensano alla stessa maniera su tutto è estremamente difficile. C’è quindi la necessità di avere abili diplomatici che siano in grado di trovare buoni compromessi tra le diverse posizioni.

L’adesione di Svezia e Finlandia rischia di spostare ulteriormente a nord l’attenzione della Nato, con una minore attenzione per il fianco sud?

L’allargamento scandinavo della Nato accentua la dimensione nordica dell’Alleanza, con un Paese come la Svezia, tra l’altro, che vorrà sicuramente dire la sua con un certo rilievo. In questo non c’è naturalmente niente di male, ma l’attenzione ai temi che sono di interesse italiano, dai Balcani al Sahel, dal Mediterraneo al Golfo, corre il rischio di indebolirsi. Anche per colpa della guerra, la Nato ha dovuto orientarsi per forza di cose molto a est. Il rischio è quello di dimenticarsi che esiste anche il sud. Nel Concetto strategico e nelle decisioni del Vertice di Madrid si è ribadita l’attenzione a 360° dell’Alleanza, ma questo dovrà poi realizzarsi nella pratica. Un compito non facile per il rappresentante italiano sarà dunque quello di continuare a tenere alte queste priorità nel momento in cui la maggioranza dei Paesi guarda altrove. E questo potrebbe passare dal rafforzamento dei partenariati della Nato con Paesi terzi.

Ci spieghi…

L’impressione è che, in parte per le necessità legate alla contingenza della guerra in Ucraina, i partenariati della Nato non siano stati particolarmente potenziati, anche da parte dell’attuale segretario generale norvegese. Due mi sembrano di particolare importanza, il Dialogo mediterraneo e l’Iniziativa per la cooperazione di Istanbul. Ci sarebbe quindi bisogno di dedicarcisi molto di più, un compito magari per il prossimo segretario generale, anche perché la dimensione meridionale non è un interesse solo italiano, ma riguarda tutti i Paesi dell’Alleanza, settentrionali compresi, per un vero approccio a 360°. Ricordiamo che il terrorismo internazionale viene da sud, e che i problemi del continente africano riguardano tutti i Paesi, con il Sahel in particolare che rischia di diventare un nuovo Afghanistan.

Qual è la posizione del nostro Paese all’interno della Nato che adesso l’ambasciatore Peronaci si troverà a dover gestire?

L’Italia è un Paese che ha tutte le carte in regola per far sentire la sua voce. Non dico di battere i pugni sul tavolo, ma sicuramente può esercitare la sua leadership. Una cosa che non si ricorda molto spesso è che l’Italia è un Paese fondatore della Nato, uno dei dodici firmatari del Trattato di Washington, un elemento che può rivendicare a buon diritto. Un altro tema importante, che troppo spesso il grande pubblico non conosce perché considerato un argomento specialistico, è che l’Italia ha sempre partecipato e continua a partecipare a tutte le operazioni della Nato in maniera molto apprezzata e visibile. Non è un Paese che si tira indietro ed è sempre al centro delle decisioni. Lo abbiamo visto anche in Afghanistan, dove la presenza italiana è stata sempre continuativa nel tempo fino all’ultimo giorno.

Esiste in Italia una “cultura transatlantica” consapevole dell’importanza della Nato?

Una cosa che possiamo registrare è che tutti i governi italiani, di tutte le collocazioni politiche, hanno avuto sempre la stessa attenzione verso l’Alleanza, e la stessa partecipazione, in particolare da parte dei ministri della Difesa, per la componente militare, e degli Esteri. Se vogliamo trovare qualche difetto, possiamo dire che troppo spesso l’opinione pubblica non è al corrente delle informazioni sulla sicurezza internazionale, un problema storico per l’Italia. Il grande pubblico non sa molto sulla Nato, così come sulla Difesa europea o altri temi che, per quanto specialistici, non sono poi così secondari nel dibattito pubblico. È importante, quindi, che l’importanza della Nato vada spiegata meglio. Viviamo in un mondo caratterizzato da grande instabilità e insicurezza, e chi è solo non riesce a far sentire la sua voce e corre il costante rischio di essere colpito in modi diversi. Ecco perché è importante far parte di una grande alleanza, e riuscire a starci al centro.

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