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Da Cacciari a Palamara sulle intercettazioni tutti al fianco di Nordio | CulturaIdentità

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Si era nel 2006 e il principe Vittorio Emanuele di Savoia veniva coinvolto in una indagine condotta dal pm Woodcock. Il figlio dell’ultimo re d’Italia conosceva le patrie galere, ma soprattutto veniva spiattellata sui media una serie di sue dichiarazioni a 360 gradi, che poca o nulla attinenza avevano con la causa in corso. Conversazioni confidenziali, estemporanee in un attimo venivano rese pubbliche con un effetto, direbbero gli inglesi, di character assassination, distruzione della reputazione.

Alla fine Vittorio Emanuele fu prosciolto, anzi lo Stato italiano dovette pagare al principe un indennizzo di 40.000 euro per il grave danno di immagine arrecato. Chi non aveva atteso l’ultimo grado di giudizio per esprimere con la consueta vivacità verbale i suoi dubbi riguardo alla fondatezza dell’indagine era stato l’ex presidente Francesco Cossiga, sardo d.o.c.

Ma a Cossiga che anticipava con arguzia quelli che sarebbero stati i risultati processuali replicò in maniera davvero significativa uno dei magistrati interessato all’inchiesta: “L’ex presidente Cossiga non difenderebbe il principe Vittorio Emanuele – disse l’inquirente – se leggesse cosa ha detto il principe riguardo ai Sardi…”. Noi non stiamo a ripetere la sentenza principesca sui Sardi intercettata a telefono, ma ricordiamo il fatto che fosse tirata in ballo come emblematica di ciò che è diventato il fenomeno intercettazioni nel periodo storico della seconda repubblica.

Ognuno potrebbe pensare a se stesso, a qualche frase che ha pronunciato di fretta, con la facilità di chi si intrattiene in una conversazione informale. Possibile che quella frase possa poi venire diffusa? Perché il tema dell’abuso delle intercettazioni al 90% riguarda il problema della sua diffusione, più che dell’uso. Torna alla mente anche quello che diceva un altro principe, Richelieu: “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare”.

Oggi il ministro Nordio cerca di porre un freno all’abuso delle intercettazioni. Risultato: si è attirato immediatamente l’accusa di voler impedirne l’uso… ed è una accusa infamante, soprattutto se chi la pronuncia crea una facile associazione di idee con le vicende di mafia e terrorismo, con le lunghe e ombrose latitanze di cui molto si è parlato nei giorni scorsi.

Ovviamente c’è anche chi non ci sta a questo gioco al massacro, ad esempio Massimo Cacciari, non un uomo schierato col centrodestra quindi. Quando gli è stato chiesto se è vero che toccare le intercettazioni rischia di minare le indagini sulla mafia o sul terrorismo, il filosofo di sinistra ha risposto nella sua consueta maniera socratica… “Puttanate!” per poi aggiungere: “Nordio lo conosco bene, fin da quando ero sindaco di Venezia. È una persona, sul piano dell’onestà intellettuale, al di là di ogni sospetto. L’idea che possa avere in mente di favorire la mafia è offensiva, e prima ancora totalmente scema”.

E in verità chiunque conosca l’impianto della riforma Nordio sulle intercettazioni sa che essa non ostacola l’utilizzo delle intercettazioni nell’ambito delle indagini per terrorismo, mafia, traffico di stupefacenti.

Da parte sua l’ex magistrato Luca Palamara che negli scorsi anni in due libri di successo scritti con Alessandro Sallusti ha fatto luce sugli aspetti più oscuri del “Sistema” giudiziario ha ricordato come qualche anno fa lo stesso Travaglio diceva cose praticamente simili a quelle di Nordio riguardo all’abuso delle intercettazioni paragonate “a una pesca a strascico”.

Sorge il sospetto che questa tempesta di fango contro Nordio sia espressione del fatto che una certa parte politica non abbia mai seriamente assimilato quelli che sono i contenuti liberali della stessa costituzione italiana.

Invadere la sfera privata del cittadino attraverso trojan è qualcosa che ricorda di più la tragica vicenda ambientata nella DDR e narrata nel film “Le vite degli altri” che non una società ispirata ai principi liberal-democratici della Costituzione del 1948.

Cosa non va nell’attuale “sistema delle intercettazioni”? Ce lo spiega un avvocato penalista cassazionista che proviene dalla insigne tradizione giuridica napoletana, Pier Giacinto di Fiore: “Oggi le risultanze delle intercettazioni telefoniche dominano il piano epistemologico del Tribunale. Una conversazione intercettata determina una condanna. Una conversazione intercettata azzera il contraddittorio tra le parti perché il Tribunale, nella stragrande maggioranza dei casi, propende per l’ipotesi accusatoria del suo “collega” Pubblico Ministero. È necessaria una riforma che ripristini l’equilibrio probatorio, riducendo le risultanze delle intercettazioni telefoniche al livello di indizio utile a continuare indagini, a ricercare la vera prova del fatto, mai a condannare”.

In pratica l’abuso di intercettazioni ha rappresentato una involuzione del modo di fare indagini in Italia: un modo che – date anche le traversie storiche del nostro paese tra anni di piombo e anni di fango mafioso – era caratterizzato da un alto livello di qualità. L’intercettazione, nella sua interpretazione solitamente colpevolista, è diventata prova in sé, mentre in un ordinamento sano essa dovrebbe essere una pista, una traccia per poi trovare prove concrete.

In fondo l’abuso delle intercettazioni somiglia drammaticamente all’abuso dello strumento del pentitismo, che nel corso degli anni ha assunto una fisionomia molto diversa, per non dire opposta rispetto a quella con la quale l’aveva concepito Giovanni Falcone nella sua autentica (e sacrificale) lotta alla mafia.

Ora Nordio cerca di voltare pagina e di sanare gli abusi. È curioso notare che i fogli di carta stampata che spargono illazioni sul suo conto sono gli stessi che negli anni Ottanta attaccavano (e anche un po’ infangavano con accuse di protagonismo) Giovanni Falcone…

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