Roma, 17 mar – Il 17 marzo va rilanciato nelle coscienze del popolo italiano perché le ossessioni verso la sua critica, o – nella versione più moderata – verso un suo “ripensamento sereno” hanno un solo risultato utile: finire nelle brame del pensiero dominante antinazionale. Esse non hanno altra destinazione possibile, e chi lo pensa è un illuso, un ingenuo o un complice.

Il 17 marzo unisce ciò che il 25 aprile divide e sempre dividerà

Il trauma è sempre il solito ed è perfino inutile ricordarlo. Anzi, facciamo così: questa volta non lo citiamo (che diciamolo, porta anche un po’ sfiga), lasciando al lettore la facile intuizione. Comunque, da quel momento in avanti, la Nazione italiana ha smesso di progredire ma anzi, solleticata da innumerevoli tentazioni “di fazione”, su tutte far assurgere Benedetto Croce a una sorta di voce incontestabile sulla presunta “non antichità” della Nazione italiana, (quando prima della tragedia del 1945 era il solo a sostenere una tesi del genere) ha imboccato la via per l’autodistruzione. C’è anche molto altro, ovviamente. Il paradossale nazionalismo autorazzista del “tipo ideale” Giuseppe Prezzolini, il nascente globalismo a cui si sarebbe prestata la sinistra italiana negli anni Sessanta del secolo scorso, con la stampella di una “utile idiota” destra. Molti fattori hanno contribuito oggi a far ignorare o a stigmatizzare un’Unità che, fino a una settantina d’anni fa, nessuno metteva in discussione. Se non limitate frange di una classe d’intellettuali tenute insieme da nostalgie pontificie.

Hanno convinto tutti, anche i più patriottici, a fargli da stampella

La strana coppia “cattolicesimo tradizionalista colto” e “marxismo post-bellico” ha fatto capolino con la pretesa della destra – sempre post-bellica – di individuare nel fascismo l’esclusivo momento di reale unificazione nazionale. Una presunzione temperata da un minimo di tolleranza per la Grande Guerra (bontà loro) ma anche incancrenita dalla demonizzazione sempre più serrata del Risorgimento. Consegnandolo così, di fatto, alla sinistra e al pensiero dominante. La quale ne ha fatto più o meno ciò che voleva, svuotandolo di significato simbolico, portandolo ai minimi termini della risonanza, e talvolta perfino ridicolizzandolo, di pari passo alla demonizzazione del fascismo e della Vittoria del 1918.

Il riassunto è grosso modo questo: in ottant’anni la cultura anti-patriottica ha conquistato tutti, puntando su elementi diversi, in grado di ingolosire le varie aree politiche. Sui cittadini di sinistra, puntando sul retaggio internazionalista e critico della Nazione come “fenomeno borghese”, con un pizzo di autorazzismo che non guasta mai. Sui cattolici, puntando sul risentimento delle élite per l’espropriazione dello Stato pontificio. Sulla destra post-fascista, concentrandosi sulla sua venerazione esclusiva del Ventennio, unico depositario di italianità come se non fosse esistito nient’altro. Chi ci comanda a bacchetta vuole che questa situazione perduri e prosperi, mentre è tempo di interromperla per sempre. È tempo di far cadere i muri che hanno portato l’anti-italianismo a vincere, prendendo da tutti linfa vitale, sangue. È tempo di compattarsi. È tempo di tornare ad essere l’Italia.

Stelio Fergola

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