Roma, 5 gen — Questa è la seconda parte dell’articolo pubblicato in precedenza
[…] Da questa consapevolezza dipende l’atteggiamento di Benedetto XVI nei confronti della manifestazione più appariscente della scienza moderna, vale a dire la tecnica: essa “crea, senza dubbio, nuove possibilità all’umanità. Il cristiano non ha nessun motivo per coltivare un risentimento nei confronti della tecnica. Chi è cresciuto ancora in un mondo in gran parte pre-tecnico, non è tentato di cadere nel romanticismo di ciò che è naturale. Egli sa quanto fosse difficile tutto questo, quanta disumanità poteva ammassarsi proprio nel mondo senza tecnica; egli sa quanto sia meglio, più bello e più umano ora. Ma la stessa tecnica, che apre tali possibilità all’umanità, offre anche nuove vie all’antiumano”, nel momento in cui essa non riconosce la verità sull’essere umano, creato a immagine di Dio.
L’antiumanità dell’ideologia gender
La negazione del concetto di natura, del resto, porta a distaccare l’uomo persino dal proprio condizionamento biologico, come appare evidente nella cosiddetta ideologia del gender: “questa differenza [tra uomo e donna], che fa parte, senza poter essere soppressa, dell’essere umano in quanto essere biologico e che lo segna profondamente, viene rigettata come una cosa di nessun peso, priva d’importanza, come “ruolo d’obbligo” storicamente acquisito nell’ambito “puramente biologico” che di per sé non riguarderebbe affatto la persona in quanto tale. […] Ma in realtà [l’uomo] si colpisce così nel più profondo di sé facendosi spregevole a se stesso, poiché è un uomo proprio perché corpo, uomo in quanto maschio o femmina. Se riduce questa fondamentale caratterizzazione di sé a una disprezzabile inezia che può essere considerata come cosa, è lui stesso che diventa cosa di nessun conto. La “liberazione” si trasforma in abbassamento nel fattizio. Laddove all’umano viene sottratto il biologico, l’uomo stesso viene negato”.
Benedetto XVI e la politica
La medesima dialettica tra libertà e verità si ritrova nell’ambito della politica. Anche qui Benedetto XVI accetta, sulla scia del Concilio Vaticano II, le acquisizioni fondamentali della modernità e quindi della democrazia liberale: l’idea che la religione non possa essere imposta dallo Stato, il rispetto dei diritti fondamentali della persona, la separazione dei poteri e il controllo del potere. Al tempo stesso egli osserva, riecheggiando le tesi del costituzionalista tedesco Böckenförde, che lo Stato liberale e secolarizzato vive tuttavia di presupposti che esso stesso non può garantire.
Una libertà senza diritto, infatti, “precipita nell’anarchia, che è la parodia della libertà, il suo annullamento nell’arbitrio di ciascuno”. Ma cosa sta a fondamento del diritto, se non viene riconosciuto il suo legame con la morale e quindi con la verità? “Un diritto che non si basi sulla morale diventa ingiustizia; una morale e un diritto che non prendano le mosse dal riferimento a Dio degradano l’uomo, perché lo privano della sua misura più elevata e della sua possibilità più alta, perché gli negano la visione dell’infinito e dell’eterno: con questa apparente liberazione egli viene sottoposto alla dittatura della maggioranza dominante, a criteri umani contingenti che finiscono per fargli violenza”.
La dittatura del relativismo
La libertà, in buona sostanza, non può fare a meno della verità: “sarebbe fatale se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione”. Di questo abbiamo una prova nelle crescenti rivendicazioni di pseudo-diritti che, con il pretesto di cancellare presunte discriminazioni, finiscono per distruggere il pensiero dissenziente: “una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”, fino a dare corpo a quella “dittatura del relativismo” – denunciata dal futuro Benedetto XVI nell’omelia della Messa “pro eligendo” precedente al Conclave che lo avrebbe eletto Papa – che “non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.
Come se Dio esistesse
Da tutto questo deriva l’invito di Ratzinger a una “laicità positiva” che, senza confessionalismi e nel rispetto della libertà e del pluralismo religioso, riconosca al contempo “la funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e il contributo che essa può apportare alla creazione di un consenso etico di fondo nella società”. Si tratta, in sostanza, di vivere “etsi Deus daretur”, come se Dio esistesse, come già teorizzato da Kant in uno dei suoi postulati della ragion pratica. Se invece “la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici di cui vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.”
La missione di Benedetto XVI: riconciliare cattolicesimo e modernità
Tutto il pensiero di Joseph Ratzinger, insomma, costituisce un gigantesco tentativo di riconciliare cattolicesimo e modernità, inserendosi nella crisi di quest’ultima e delle sue certezze per offrirle il sostegno della pretesa cristiana di verità. Tale tentativo è sembrato, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, poter cogliere qualche successo: la fine del blocco sovietico, il riemergere prepotente delle identità anche religiose sulla scena della storia, la teorizzazione dello “scontro di civiltà” da parte di Huntington e la sua strumentalizzazione politica da parte degli ambienti neoconservatori fino all’emergere della categoria degli “atei devoti”, hanno lasciato pensare per un attimo che avesse qualche concreta possibilità di realizzarsi l’idea di un nuovo riferimento delle nazioni europee al proprio retaggio cristiano, pur nel mantenimento della laicità delle istituzioni temporali e della libertà di religione. Ben presto, tuttavia, è emerso il fatto che la post-modernità secolarizzata distrugge qualsiasi narrazione totalizzante, sia essa di matrice razionalista o religiosa.
La religione civile
La democrazia pluralista, nello specifico, è strutturalmente incompatibile con il riconoscimento di un’istanza morale pubblicamente riconosciuta e ispirata alla sorgente cristiana che Ratzinger immaginava: questo punto costituisce indubbiamente l’aspetto più fragile della sua costruzione di pensiero, così come delle nuove tesi espresse dal Concilio Vaticano II a cui egli non poteva non fare riferimento. È palese in questo senso l’errore di valutazione rispetto alla realtà statunitense, che egli ha a lungo considerato sulla scia di Tocqueville un modello di “laicità positiva”, storicamente basato sulla separazione istituzionale tra lo Stato e le diverse denominazioni religiose ma al tempo stesso caratterizzato da una sorta di “religione civile” di matrice genericamente cristiana: a dispetto delle forme, oggi la religione civile degli States è rappresentata dalla “cancel culture” e dai deliri BLM e tutti i peggiori veleni partoriti oltreoceano hanno da tempo invaso anche l’Europa.
Non che Benedetto XVI non ne fosse consapevole, come dimostra la preoccupazione espressa per l’attacco “di un nuovo secolarismo, del tutto diverso” nel corso del suo viaggio apostolico negli USA nel 2008: egli riteneva, tuttavia, che fossero le minoranze creative a determinare il corso della storia e che i cattolici dovessero atteggiarsi come tali, per arricchire nuovamente le proprie nazioni con il loro contributo intellettuale e rifondare così una realtà cristianamente ispirata. Si tratta di un compito che oggi appare ancora più difficile, per non dire proibitivo, in una situazione in cui persino la Chiesa, salvo poche isole di resistenza, appare confusa e smarrita, dimentica della propria missione.
Resta, al di là di queste considerazioni, il valore assoluto dell’opera intellettuale di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI e del suo sforzo di “mettere a tema la razionalità e l’umanità intrinseca della fede cristiana e di mostrare che nell’autocomunicazione della verità di Dio l’uomo accede alla sua propria verità”[1]. Egli si accomiata dal mondo come un vero e proprio gigante del pensiero cattolico ed europeo del Novecento e degli inizi del terzo millennio, tanto che non suonerebbe eccessivo se la Chiesa cattolica, in mezzo a tanti Pontefici della storia recente beatificati o canonizzati per santificare la svolta conciliare, gli attribuisse il titolo di trentasettesimo “dottore della Chiesa”.
Marco Mancini
[1] J. Ratzinger, Fede, ragione, verità e amore (antologia a cura di U. Casale), Lindau, Torino, 2009, p.58.
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