Roma, 6 gennaio – Chiamiamola con il suo nome: alternanza scuola-lavoro. Stage è una parola francese che al Ministro Sangiuliano potrebbe non piacere, soprattutto gli da una patina troppo seria e professionale per quello che in realtà è: un meccanismo di lavoro obbligatorio non retribuito. Un meccanismo che lo scorso anno ha mietuto tre vittime tra gli studenti italiani: ed ora le famiglie subiscono la beffa.
Perchè è importante chiamarla con il suo nome? Perchè la identifica in una storia politica ben precisa: quella del Partito Democratico di Matteo Renzi. Stage è tropo vago, può essere tutto e niente. Invece alternanza scuola-lavoro fa capire che sono gli studenti superiori quelli interessati, per la maggior parte ancora minorenni, altri di diciotto anni appena compiuti: è il caso di Giuliano De Seta, morto il 16 settembre scorso mentre svolgeva il Pcto (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, supercazzola degna del Mascetti) in una fabbrica di Noventa di Piave. Quindi, in Italia può succedere che una legge (la 107, anche detta “Buona Scuola”) istituisca l’obbligatorietà per tutti gli istituti superiori di svolgere l’alternanza scuola-lavoro, sbattendosene dell’indirizzo di studi e della preparazione “fattuale” degli istituti e delle aziende locali a “ricevere” positivamente questo obbligo. Ecco quindi che da subito accanto a modelli – va detto – già virtuosi (soprattutto per gli istituti tecnici) perchè l’alternanza era svolta prima dell’obbligo, si accostano scelte scellerate come quella di grandi catene multinazionali per lo svolgimento dello stage: è noto l’accordo tra il Miur e McDonald’s, dove la legge fa cadere la sua maschera formativa e cade nel più bieco affarismo. Seguirono in tutta Italia irruzioni del Blocco Studentesco (che goliardicamente titolava: “Dalla riforma Gentile ai cheesburger“) nei fast food e una mobilitazione trasversale anche alla sinistra che coinvolse tutti gli studenti. Quindi dicevamo, in Italia può accadere di lavorare gratuitamente per sbloccare crediti formativi: può accadere di morire, come i 1.089 morti sul lavoro nel 2022, e può accadere che si riesca a fare bega perfino su un risarcimento. Che non serve dire come rappresenti “il minimo”, rispetto ad una famiglia lacerata.
Inail non paga
Il mancato indennizzo – denunciato dalla stessa famiglia – deriva dal fatto che il ragazzo – travolto e ucciso da una lastra di acciaio – si trovava in azienda come stagista e non come operaio della ditta dove stava svolgendo il periodo obbligatorio di alternanza scuola-lavoro. Il problema in effetti, se analizziamo meglio, è proprio quello dello stagismo, e di aver degradato gli studenti a questo rango giuridico. La norma, infatti, prevede un risarcimento soltanto nel caso lo stagista sia anche “capofamiglia”. Giuliano non era fonte di reddito. L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ha però obiettato dopo il polverone mediatico suscitato dalla polemica. Attraverso la sede centrale di Roma dell’Inail al Corriereuniv.it, hanno precisato: “Alla famiglia è stato consegnato un assegno per le spese funerarie, come previsto dalla legge. Sulla questione stiamo prendendo informazioni in loco ma la rendita non è stata riconosciuta per una questione legata al reddito familiare dei coniugi De Seta che supera la soglia di legge. Questo non c’entra nulla con il risarcimento”. Insomma l’Inail tenta di smarcarsi. Ma il problema permane: il mancato riconoscimento di una rendita non è dunque legato al fatto che lo studente fosse in stage di formazione previsto dalla scuola. Anche se Giuliano fosse stato un dipendente della Bc Service di Novante di Piave, non sarebbe comunque stata riconosciuta una rendita alla famiglia. La legge prevede che i familiari di chi muore per un incidente sul lavoro abbiano diritto ad un assegno per le spese funerarie.
Nessuno paga
Lo spiega anche la direttrice dell’Inail Veneto, Enza Scarpa, al Corriere della Sera: “I genitori non hanno avuto diritto a una rendita per la morte di Giuliano perché il reddito familiare supera la soglia minima di legge, calcolata in base alla composizione del nucleo familiare, ma i diritti dei dipendenti, così come degli stagisti e degli studenti in formazione lavoro per Inail sono gli stessi”. Rendita che solitamente invece viene riconosciuta ad un figlio, anche maggiorenne, se in formazione o con un reddito familiare basso. Insomma i classici escamotage all’italiana per fregare la legge attraverso la legge. Infatti, in questa deplorevole polemica – nel quale evidentemente non si calcola la perdita fisica e spirituale di un figlio – non si evince mai quale sia la soluzione per uscire da uno stallo normativo che promette di mietere altre vittime, dato l’andazzo generale dell’innalzamento dei costi e quindi – di riflesso – del ribasso della qualità del lavoro. Ancora nessuno ha sollevato la questione di legittimità dello stage e soprattutto dello studente-in-stage, orrida figura ibrida di questa società precaria e precarizzante. Ancora nessuno ha sollevato la questione di legittimità di una scuola che si sta trasformando in una stampella del capitale grazie a riforme come quella di Matteo Renzi. Ancora nessuno ha deciso di affrontare il vuoto normativo lasciato dal liberismo economico e dalla concorrenza spietata imposta dalla globalizzazione. Giuliano De Seta resta a guardare, mentre tutto gira nel verso sbagliato.
Sergio Filacchioni
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