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Totò, il principe della risata | La Voce News

Totò, pseudonimo di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, è stato un grandissimo attore, commediografo, poeta, paroliere, sceneggiatore e filantropo

Redazione dell’Altamurgia – cultura

Antonio Vincenzo Stefano Clemente de Curtis, in arte “Totò” nasce a Napoli il 15 febbraio 1898 (m. a Roma il 15 aprile 1967), da Anna Clemente. Solo nel 1921 Totò sarà riconosciuto dal padre, il marchese Giuseppe de Curtis e nel 1933 si farà adottare da un vecchio principe decaduto, per diventare infine il principe De Curtis.

Attore simbolo dello spettacolo comico in Italia, tanto da conquistarsi il nomignolo di “principe della risata”, è considerato, anche in virtù di alcuni ruoli drammatici, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.

Nel solco della tradizione della commedia dell’arte, accostato a comici come Buster Keaton e Charlie Chaplin, ma anche ai fratelli Marx ed a Ettore Petrolini, in quasi cinquant’anni di carriera spaziò dal teatro (con oltre 50 titoli) al cinema (con 97 pellicole) e alla televisione (con 9 telefilm e vari sketch pubblicitari), lavorando con molti tra i più noti protagonisti del panorama italiano e raggiungendo, con numerosi suoi film, i record d’incasso.

Grande comico, di fama mondiale, morì davvero in miseria, nonostante i guadagni fiabeschi che provenivano dai suoi film. Su Totò è stato scritto di tutto, ma forse non tutti sanno che fine facevano i suoi denari… un Totò spendaccione, forse?

Quando lui, a fine film percepiva il suo compenso, cambiava i soldi in bigliettoni da 10.000 lire, in un’epoca in cui tale importo poteva equivalere ad una cifra dai 200 Euro fino a 500 Euro attuali e riempiva due valigie piuttosto grandi.

Quindi saliva in macchina con questo carico e a ora già tarda si faceva portare da Roma a Napoli dal suo autista personale (Totò non ha mai guidato la macchina) e raggiungeva la città partenopea al rione Sanità. Arrivava che era già notte fonda e la città era completamente immersa nel sonno, diceva al suo autista di aspettarlo in un posto preciso e partiva per le strade deserte. Percorreva i Bassi di Napoli col suo prezioso carico e sotto ogni porta delle povere famiglie di allora infilava un foglio da 10.000…

 Antonio badava scrupolosamente di non saltare nemmeno una porta, lui, quei posti, li conosceva come e meglio delle sue tasche e seminava il suo viatico per quei luoghi alla gente che tanto amava…

Finalmente, il principe della risata, che in quel frangente era serio serio, raggiungeva il luogo dove trovava il suo autista ad aspettarlo e se ne tornava a Roma… L’autista aveva giurato di non rivelare niente a nessuno. Totò, da qualcuno era considerato un avaro, poiché non spendeva facilmente e badava bene a come usava i suoi soldi. Compiva la sua missione di generosità completamente solo, non si fidava di nessuno…

Antonio De Curtis

Ogni mattina, poi, Totò, appena uscito di casa, distribuiva le altre diecimila lire ai poveri in biglietti da mille Lire ciascuno. Si sparse la voce nel quartiere così tanto che i mendicanti arrivavano sotto casa sua prima che il Principe uscisse con la speranza di essere i primi della coda.

Ma, agli inquilini del palazzo dove abitava, Totò non andava a genio: tutto quel viavai di mendicanti e così andò a finire che, gli inquilini scocciati, aggiungessero un nuovo articolo al regolamento di condominio: “Era fatto obbligo al custode di tener lontani dal palazzo tutti gli importuni”.

Totò soffrì tantissimo per quella clausola che lui giudicava ingiusta e il giorno in cui andò in vigore, porse le diecimila lire al suo autista: “Prendile tu io non so iniziare la giornata senza prima aver regalato qualche soldo”.

Da ragazzo perse l’occhio sinistro per un distacco retinico operato senza successo. La cecità lo colse all’improvviso nella primavera del 1957, durante la tournée di “A prescindere” che aveva segnato il suo ritorno al teatro dopo un’assenza di sette anni.

L’ultima fase della sua vita la concluse in condizioni di quasi totale cecità a causa di una grave forma di corioretinite, probabilmente aggravata dalla lunga esposizione ai fari di scena. Spesso stroncato dalla maggior parte dei critici cinematografici del suo tempo, fu ampiamente rivalutato dopo la morte, tanto da risultare -ancor oggi- il comico italiano più popolare di sempre.

In un epoca di divismo sfrenato, dove gli attori sul set poco si curavano dei vari lavoranti, Totò invece s’imprimeva nella mente il volto e il nome di ognuno di loro, anche dell’operaio con la mansione più umile. Se dopo diversi giorni di riprese si accorgeva che uno non era più presente, ne chiedeva il motivo. Quando sentiva che la produzione l’aveva mandato via per risparmiare, lui diceva loro, semplicemente: “Richiamatelo, lo pago io!” e così succedeva.

Non voglio onori e titoli, né diventar signore: voglio di questo pubblico restare il servitore.

Gli artisti, come tutti, sono esseri umani e il tempo loro prima o poi finisce… In un giorno dove i riflettori sono puntati altrove, chi come Totò oltre ad essere un grande artista era anche una grande anima, non verrà mai dimenticato. Era solito chiudere i suoi spettacoli con: “Non voglio onori e titoli, né diventar signore: voglio di questo pubblico restare il servitore“.

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