riforma-del-fisco,-meloni-sfida-landini-in-casa-sua-–-il-riformista

Riforma del fisco, Meloni sfida Landini in casa sua – Il Riformista

La premier attesa al Congresso di Rimini

Claudia Fusani — 17 Marzo 2023

Riforma del fisco, Meloni sfida Landini in casa sua

Il Consiglio dei ministri approva la legge delega per la riforma del sistema fiscale. È uno degli obiettivi di legislatura. E il Paese aspetta da cinquant’anni questa riforma. Evviva evviva, dunque, “il governo che fa” è il messaggio che esce dalla riunione di governo che ha approvato anche il decreto per il Ponte sullo stretto di Messina. Anche di questo si parla da cinquant’anni. Ma dietro l’entusiasmo, negli occhi dei ministri, chi più chi meno, c’è la consapevolezza che serviranno almeno due anni per i decreti delegati e riformare realmente il fisco. E chissà quanti per il Ponte. Due anni in politica sono un tempo infinito. In cui può succedere qualunque cosa. Come dimostra la storia degli ultimi dieci anni.

A Giorgia Meloni però questi 22 articoli – tanti ne conta la legge delega che vede accanto a quella del ministro Giorgetti la firma di un suo fedelissimo, il viceministro Maurizio Leo – servono come il pane. Per vari motivi: per uscire dal cono d’ombra della pessima gestione degli sbarchi e del fenomeno migratorio che ieri mattina ha avuto un ulteriore momento nella visita blindata dei familiari delle vittime a palazzo Chigi; per dare forma -non ancora corpo – ad uno dei tormentoni della campagna elettorale (“più assumi, meno paghi”); per iniziare a muoversi in quelle riforme che il governo di destra-centro dice di aver messo al centro della sua azione di governo. Gli servono, quei 22 articoli, perché non c’è dubbio che molto del suo consenso è stato raccolto proprio in quella larga parte di paese che chiede da anni di creare posti di lavoro ma anche di aiutare chi fa impresa. E infine perché è col biglietto da visita della delega fiscale che stamani la premier entrerà nella Fossa dei leoni dal congresso della Cgil.

Il segretario Maurizio Landini ha il suo bel da fare per tenere a bada i malumori dei delegati per questo invito. È dal 1996 che un premier non calca il palco del congresso del sindacato più a sinistra e che rappresenta 36 milioni di contribuenti. L’ultimo fu Romano Prodi. Ed è la prima volta in assoluto che lo fa un premier di destra. In attesa di capire chi abbia osato di più tra Meloni e Salvini – e lo sapremo solo oggi intorno alle 14 – possiamo dire che la premier è in modalità win-win, comunque vada per lei sarà un successo: se la fischiano potrà fare la vittima e dire “la solita sinistra che sa solo guardare indietro”; se dovessero per caso applaudirla – ipotesi assai residuale – resterebbe negli annali di storia. Più probabile che venga accolta con un silenzio glaciale. Vedremo. Ieri i compagni e le compagne si consultavano: “Che facciamo? Fischiamo o non fischiamo?”. La minoranza, e anche opposizione a Landini, capeggiata da Eliana Como non capisce l’invito. Meditano di lasciare la sala. O di indossare una T-shirt con scritto: “Pensati sgradita”. Di sicuro non fischieranno: “Ma per favore, siamo persone serie noi. Una volta che è stata invitata…”.

Il segretario la spiega così: “Abbiamo invitato la premier come i segretari delle forse politiche di opposizione, personalità e soggetti sociali, non per galateo istituzionale ma perché è il momento delle risposte ai bisogni delle persone che per vivere devono lavorare e perché rivendichiamo che le riforme devono essere condivise”. Invece anche questa del fisco è stata decisa a tavolino dalla maggioranza “senza condividere nulla con le parti sociali. È una riforma che aiuta i ricchi e penalizza i poveri e il lavoro dipendente”. Landini e la Cgil condividono il giudizio con Cisl e Uil. Ed ecco che alla fine la sfida della premier potrebbe non essere più comunque vincente ma trasformarsi in un boomerang. Della serie che Meloni potrebbe oggi lasciare il congresso né fischiata né applaudita ma mentre viene proclamata una mobilitazione nazionale di tutti i sindacati. L’anticamera dello sciopero generale.

La delega fiscale è stata ampiamente spiegata in questi giorni alle parti sociali. Contrari i sindacati “nel merito e nel metodo”. Tendenzialmente favorevoli le associazioni di categoria. La premier l’ha illustrata mercoledì alla Camera: “La progressiva riduzione del numero di aliquote Irpef da quattro a tre; l’obiettivo di un minore carico fiscale per tutti i contribuenti, con particolare attenzione ai redditi medio bassi e tenendo conto della composizione del nucleo familiare”. Punto di forza – ma non di novità perché era già presente nel ddl parlamentare della commissione Marattin nel governo Draghi – è la modifica complessiva dell’Ires che passa dal 24 al 15% “se l’azienda s’impegna ad investire in macchinari o in assunzioni”. Da qui uno degli slogan della campagna elettorale: “Più assumi, meno tasse paghi allo Stato” Meloni oggi spiegherà con orgoglio che “dal primo gennaio del 2024 entrerà in vigore la global minimum tax, l’imposta globale minima per le multinazionali con aliquota effettiva al 15%”. Che però non è esattamente un risultato del suo governo.

Un fisco “amico, semplice, non più vessatorio e lotta senza quartiere all’evasione fiscale”. Come questo impegno si potesse conciliare con l’abolizione del pos sotto i trenta euro, è tutto da spiegare. La flat tax, ad esempio, sarà estesa anche ai lavoratori dipendenti nella parte incrementale rispetto all’anno precedente. Però questo andrà a dire oggi Giorgia Meloni alla platea della Cgil. La quale è pronta a replicare. Nel merito Landini è stato chiaro: “Non ci fidiamo. Il taglio dell’Ires deve essere vincolato alle assunzioni e non anche ai macchinari. Abbiamo già visto imprenditori che hanno comprato macchine ma non posti di lavoro”. Le proposte del sindacato sono altre: settimana di quattro giorni lavorativi con parità di salario, una sorta di lavorare meno, lavorare tutti; il salario minimo ma non come lo intende la segretaria del Pd Elly Schlein bensì allargando a tutti i lavoratori i contratti nazionali che prevedono già paghe base superiori al salario minimo. Una cosa è certa: Landini ha fatto bingo dal punto di vista mediatico. Oggi tutte le telecamere saranno al Palacongresso di Rimini per vedere la leader “nera” che solca il palco “rosso”.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent’anni a Repubblica, nove a L’Unità.

© Riproduzione riservata

Related Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *