Roma, 24 feb – Spesso il mondo dell’archeologia sconfina nel “giallo”, indagando su morti e delitti commessi secoli or sono e sfruttando le moderne tecniche di investigazione scientifica. Una sorta di C.S.I. intrisa di ricerca storica all’Indiana Jones, che spesso porta a scoperte davvero sbalorditive e in grado di comprendere la vita dei nostri più antichi antenati. Se uno dei più misteriosi e antichi delitti di casa nostra è tutt’ora rimasto irrisolto; ovvero quello di Otzi, la famosa Mummia dei Similaun, assassinata e rinvenuta ormai trent’anni fa sull’omonimo ghiacciaio altoatesino, oggi in Sardegna i ricercatori potrebbero invece aver risolto un altro affascinante caso che da decenni impegna la comunità scientifica.
La misteriosa morta di una giovane donna sarda
Il team di ricercatori guidato da Dario D’Orlando dell’Università di Cagliari, recentemente ha esaminato i documenti di scavo della necropoli di Monte Luna, in Sardegna. Nell’antico sito archeologico, scoperto negli anni settanta, furono rinvenuti i resti scheletrici di una donna che era stata sepolta lì a faccia in giù. Il nuovo studio condotto dall’ateneo sardo, oggi conferma che la donna aveva un’età compresa tra i 18 e i 22 anni quando morì tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C.. Approfondendo però le ricerche sull’antico cadavere, con l’ausilio delle sofisticate tecnologie moderne e una buona conoscenza delle fonti storiche, il team potrebbe adesso aver scoperto anche i misteriosi eventi che, oltre duemila anni fa, portarono alla morte della giovane nuragica.
Il cranio perforato da un chiodo romano
Dario D’Orlando ha spiegato che le prove di un trauma da corpo contundente, subito forse durante da una caduta, è stato trovato nel cranio della giovane. Si tratta di un foro dalla forma quadrata, probabilmente compatibile con una ferita inflitta da un chiodo in uso tra i Romani. Tale ferita da corpo contundente riportata dalla defunta, potrebbe essere il risultato di una caduta durante un attacco epilettico dal quale la giovane fu vittima. Ma se oggi l’epilessia è una malattia comune e universalmente riconosciuta, all’epoca non era affatto scontato che questo tipo di patologia rientrasse nella normalità del mondo antico. Sempre secondo D’Orlando, infatti, la ferita da forza acuta potrebbe essere stata inflitta dopo la morte, per impedire che la malattia della giovane sarda si diffondesse tra i membri della comunità locale.
Antichi rimedi greco-romani per combattere l’epilessia
Il singolare rimedio di forare il cranio del “paziente” con un chiodo, o comunque con un oggetto contundente, per combattere l’epilessia, deriva fin dagli antichi Greci e viene documentato anche nel I secolo d.C.. Il grande storico romano, autore di quella che probabilmente è la prima opera enciclopedica completa, Plinio il Vecchio, ne descrisse dettagliatamente la prassi in Naturalis Historia. Secondo D’Orlando, questa cruda usanza al confine tra il medico e il magico, potrebbe essere emersa in Sardegna dopo la fine della Prima guerra punica, nel 241 a.C.. Com’è noto, lo stesso invincibile condottiero romano, Caio Giulio Cesare, fin da bambino soffriva di un’acuta forma di epilessia e, mentre alcune delle persone a lui più vicine fecero di tutto per nasconderne la malattia, altri sostenevano che la stessa era un segno evidente della protezione degli dei. Comunque sia, dopo cinquant’anni dalla scoperta dell’antico scheletro sardo, per l’archeologia italiana il caso (sembra) chiuso.
Andrea Bonazza
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