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Quell'inutile bombardamento sull'Abbazia di Montecassino | CulturaIdentità

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“Mentre recitiamo in ginocchio l’atifona finale della madonna: Et pro nobis Christum exora, atterriti sentiamo improvvisa una tremenda esplosione. Ad esse seguono altre senza numero, sono le 9.45 circa. Ci raccogliamo in ginocchio in un angolo della stanzetta, attorno a P. Abate che è ritto in piedi: egli ci dà l’assoluzione… Le spesse mura del rifugio con tutto l’ambiente, sussultano in modo spaventoso… si vedono le fiamme di quelle bombe. Non so quanto dura questo inferno, certo ci appare molto lungo…”

Così inizia il racconto nel diario dei monaci nel giorno che vide la distruzione dell’Abbazia di Montecassino. Tra le 9,28 e le 13,33 del 15 Febbraio 1944, 239 bombardieri, sganciarono ben 453 tonnellate di bombe in otto ondate per polverizzare l’abbazia di Montecassino, culla del monachesimo, faro della cultura europea monastica sin dal 529.

L’ordine, tra i più controversi della Seconda Guerra Mondiale, fu dato dal generale americano Mark Wayne Clark, nella convinzione – poi rivelatasi errata – che l’interno dell’abbazia fosse occupato dai tedeschi. In realtà, paradossalmente, proprio le macerie dell’abbazia bombardata consentirono molto più facilmente alle truppe tedesche che lì andarono ad insediarsi, di continuare la resistenza sulla linea Gustav fino a maggio del 1944. “The Battle for Cassino”, tra le più cruente della WWII, lasciò sul campo 135mila morti tra alleati e tedeschi.

L’abbazia di Montecassino era stata fondata nel 529 da San Benedetto da Norcia, su una zona dove in tempi passati sorgeva un’antica torre e un tempio dedicato ad Apollo. Qui il santo scrisse la storica Regola su cui si fonda il monachesimo benedettino, basata sui voti di castità, povertà, obbedienza e l’obbligo del lavoro, sintetizzata nel nella formula “ora et labora”.

Per tutto il medioevo, l’Abbazia di Montecassino era stata un fervente centro di cultura grazie alle ricche biblioteche, ai suoi archivi, alle scuole miniaturistiche. Molte opere antiche di pregio e dal grande valore storico vennero acquisite, riprodotte, create e conservate a Montecassino.

Purtroppo, da quel bombardamento aereo, poco rimase intatto. Come per miracolo la statua di San Benedetto rimase in piedi fino alla fine, giusto come il padre abate nel racconto di quella mattina, che “ritto in piedi” vegliava sui suoi monaci. 

Salve le spoglie di San Benedetto e Santa Scolastica, poste in una tomba circondata da preziose decorazioni, la cripta completamente decorata a mosaico, realizzata nel 1544 e la Chiesa Primitiva di San Martino.

Quasi intatti, poiché evacuati qualche mese prima, rimasero l’archivio, la biblioteca e le mirabili opere che a Montecassino erano state affidate dal Museo Archeologico di Napoli (tra cui la Danae di Tiziano, trafugata e diventata dono di compleanno per Göring) dal Museo Archeologico di Siracusa, dal Tesoro di San Gennaro ed altri importanti istituzioni culturali.

Evacuati per opera dell’armata  Göring, con una operazione che doveva avere i tratti di un salvataggio ma che in realtà celava un tentativo di  trafugamento di opere d’arte, come ben raccontato nel libro di Benedetta Gentile e Francesco Gentile “I misteri dell’Abbazia – La verità sul tesoro di Montecassino” e dalla mostra “Arte liberata” fino al 10 Aprile 2023 presso le Scuderie del Quirinale.   

Giusto qualche anno dopo quei tragici eventi, Emilio Lavagnino, Ispettore centrale della Direzione generale dell’Ordine superiore tecnico, a cui si deve l’instancabile attività di salvaguardia del nostro patrimonio artistico -culturale tra il 1943-44, nel volume “Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra (Lavagnino 1947)” volle tramandare ai posteri i casi esemplari di barbarie gratuita ai danni dei tesori d’arte.

Un atlante fotografico edito nel 1947 con la collaborazione del Ministero della Pubblica Istruzione. In quel volume, Benedetto Croce, a cui ne era stata affidata l’introduzione, scriveva: le opere d’arte sono “oggetti sacri dell’umana chiesa universale che vanno posti tutti fuori dalle nicchie, collocandoli in alto come un tesoro comune, non pensando, non immaginando mai che si potesse violare questo patto religioso”.

Ebbene, quel “tesoro comune” che sempre dovrebbe essere posto all’apice della produzione umana e salvaguardato indifferentemente da tutti, come espressione del genio umano, della sua capacità di raccontarsi e raccontare e dunque tramandare, a Montecassino, era stato violato quel 15 febbraio 1944, insieme a migliaia di vite umane. 

Ancora una volta in Italia il patrimonio artistico-culturale era stato esso stesso campo di battaglia, come forma di punizione da parte del nemico ed oggetto di conquista. Ma allo stesso tempo come l’arte di Verdi o Hayez ai tempi dei moti rivoluzionari, fu il collante “per la tenuta sociale del popolo”, “l’identità stessa degli italiani”, l’orgoglio condiviso che tanti tentarono di salvaguardare, a costo della loro stessa vita e oggetto di propaganda.

L’abbazia che appare oggi agli occhi di pellegrini e visitatori è stata riedificata nel corso di un decennio, recuperando tra l’altro una parte dei materiali dalle macerie, rispecchia quello che era l’antico impianto architettonico. È un luogo fortemente evocativo, in cui la memoria di quel tragico 15 febbraio 1944 si è cristallizzata nelle mura, nell’atmosfera, in ogni dove e diventata memoria collettiva.

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