Da Nord a Sud passando per le Isole la bellezza dei nostri simboli culturali
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“…ché necessario è navigare, / vivere non è necessario”: in un impeto retorico, uno dei tantissimi della propria produzione, Gabriele d’Annunzio cesellò il verso perfetto che potesse rappresentare il desiderio di mare. Per la verità, il roboante invito a navigare o morire compare in “Maia. Laus Vitae”, un lunghissimo poema del 1903, di oltre ottomila versi, che prende spunto autobiografico da un viaggio in barca a vela che il poeta intraprese con alcuni amici verso l’Ellade. Viaggio peraltro che, stando ai diari, non andò benissimo, ma che in seguito venne sublimato dall’ispirazione poetica in modo straordinario. Poco importa la vita rispetto alla poesia, avrebbe chiosato Gabriele, ciò che conta in generale è la poesia e nel caso particolare la forza della frase che risveglia l’impellenza del muoversi governando le onde. E viaggiare per mare è ben diverso da viaggiare per terra, tanto che anche dal punto di vista culturale se, per esempio, il Grand Tour settecentesco di poeti e letterati che dal nord scendevano in Italia in cerca di cultura fosse avvenuto bordeggiando le coste e non attraversando a piedi la penisola, la percezione del nostro Paese nel mondo sarebbe stata diversa. Non più Milano, Firenze, Roma come mete principali, bensì nel periplo delle coste scendendo dal Tirreno, Genova, Napoli, Palermo, Siracusa, Taranto, e risalendo poi dall’Adriatico, Bari, Ravenna, Venezia, fino a Trieste. A cui si sarebbe aggiunte, se non per una sosta, almeno per una veduta sotto costa, La Spezia, Livorno, magari Amalfi, Trapani, Agrigento, Trani, e tanto per dire Pescara e Ancona. Ma ad essere più sottili, assecondando i venti e le correnti, qualcuno si sarebbe spinto fino a Cagliari, qualcun altro avrebbe gettato ancora in qualche isolotto, magari alla Gorgona o alla Capraia, qualcuno avrebbe preferito Ischia o Capri, qualcun altro Ustica o Pantelleria, Stromboli, o l’isola del Giglio, Ponza o Favignana. Ottomila chilometri di coste frastagliate, sabbiose o rocciose, aride e scabre o verdi e lussureggianti, piatte o strapiombanti, un panorama assoluto, sul quale insistono alcuni capolavori dell’arte di tutti i tempi.
A Genova anche il visitatore meno attento resterebbe comunque sopraffatto dalla maestosità del Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, quello più scrupoloso potrebbe invece visitare tutti i quarantadue Palazzi del Rolli, ovviamente patrimonio Unesco, e qui potrebbe già concludersi il viaggio per la quantità di storia e reperti in essi contenuti da non essere necessario aggiungere altro.
A Napoli basterebbe soffermarsi al Pio Monte della Misericordia per ammirare “Le sette opere di Misericordia”, forse il quadro più intenso di Caravaggio; non servirebbe altro, si potrebbero chiudere gli occhi davanti a Castel dell’Ovo o al Maschio Angioino, non mettere piede a Palazzo Reale, non arrivare fino al Cristo Velato, non scendere nei sotterranei della città, non raggiungere via Toledo, non entrare nelle nuove Gallerie d’Italia di Banca Intesa per essere sopraffatti dalla maestria delle sculture di Vincenzo Gemito, non andare a Capodimonte, non al museo archeologico, non al museo Madre, non nella metropolitana dove alcune fermate contengono opere site specific incredibili di arte contemporanea, neppure al rione Sanità dove in una chiesetta c’è lo studio di Jago. A Palermo, la ieraticità della Annunciata di Antonello da Messina impone, al contrario, di fermarsi, restare immobili, in silenzio, aspettare di fronte al miracolo di questa piccola tavola in cui la madonna velata sembra con la mano volerci ammonire che tutto passa e anche noi; nello stesso palazzo Abatellis, un monito ancor maggiore ci viene dal Trionfo della morte che è la rappresentazione plastica più bella di sempre del nostro essere perituri con la morte a cavallo, in forma di scheletro, che stermina belli e brutti ricchi e poveri. A pochi metri, sempre a Palermo nel quartiere della Kalsa, Francesca e Massimo Valsecchi, due grandi collezionisti di arte contemporanea, hanno restaurato e aperto al pubblico Palazzo Butera, palazzo principesco ora riportato ai fasti del tempo. Ancora pochi metri e a palazzo Belmonte, oggi Museo Riso, l’installazione di Jannis Kounellis, una serie di armadi appesi al soffitto, schiacciano il visitatore; e poco più in là, dentro Palazzo dei Normanni, la Cappella palatina con la sua cupola e al centro il Cristo Pantocratore.
A Siracusa, sulla punta di Ortigia, isolotto a forma di quaglia, il Castello Maniace difende il golfo e protegge il Duomo, che fu eretto sopra un sito di culto pre-greco e poi greco, da tremila anni dedicato a una divinità femminile, e che ha inglobato le colonne doriche dell’antico tempio di Atena oggi tempio di Maria Santissima, perfetto esempio di stratificazione culturale e architettonica. A Otranto nella Cattedrale si può calpestare l’Albero della vita, un pavimento in mosaico impressionante che ricopre tutte la navata. A Bari, nella pinacoteca cittadina, c’è uno splendido San Pietro di Giovanni Bellini che ha una storia interessante e rappresenta una chicca del nostro Rinascimento; a Ravenna il ritratto di Giustiniano nella Basilica di San Vitale è invece uno dei capolavori dell’arte bizantina, straordinario per la dorata piattezza nella posa frontale maestosa.
A Venezia, quasi in conclusione, sulle orme di Lord Byron che ci visse, di Mann che vi scrisse, di Brodskij o di Pound che vi sono sepolti, dovremmo fermarci qualche anno: sarebbe pretenzioso, elencare i palazzi e le chiese e le biblioteche e i musei da ammirare in una città in cui ogni edificio è un esempio di cosa possa produrre un visionario anelito di bellezza; sarebbe sufficiente affacciarsi dallo squero della fondazione Cini sull’isola di San Giorgio e aguzzare gli occhi verso San Marco.
L’Italia vista dal mare appare, se è cosa possibile, ancor più bella di quanto siamo soliti magnificare e di cui ci inorgogliamo, un caleidoscopio multiforme di paesaggi e panorami. Le case colorate di Positano, una sopra le altre, il rilievo scabro roccioso di Capri e i faraglioni, la Cattedrale di Amalfi, le scogliere alte del Conero e di Baia delle Zagare, le bianche spiaggia di Chia Laguna o la falce di Punta Ala, gli acquitrini del Delta del Po, le dune sabbiose di Piscinas, il profilo di Taormina, il promontorio del’Argentario, l’isolotto di Gallipoli, la Cattedrale di Trani, e poi le costruzioni di Otranto e della bianca Ostuni, i paesi arroccati, incuneati, come Maratea e Tropea e Polignano e Camogli e Monterosso, i muraglioni dell’isola di Pellestrina, in forma di ultima terra lunare a proteggere la laguna veneziana, fino all’algida compostezza, quasi altera, di piazza Unità d’Italia a Trieste, luogo simbolico con cui terminare il viaggio.
Ognuno di noi potrebbe dilungarsi, ognuno di noi ha nel cuore una veduta di questo tipo, in un mattino uscendo dal porto e lasciandosi la Patria alle spalle, oppure nel tramonto tornando verso terra, un’Italia “paradiso per gli esiliati”.