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“Papà mi fai combattere?”: la boxe di padre in figlio di Ivan e Andrea Zucco – Il Riformista

Quando Ivan Zucco è diventato campione italiano dei supermedi ha abbracciato il padre, lo ha stretto forte forte. “Papà, ce l’abbiamo fatta”. E giù lacrimoni. Perché Andrea “Marvin” Zucco sta imparando a emozionarsi: glielo sta insegnando il figlio, pugile di 27 anni, supermedio in ascesa già campione italiano e detentore della cintura WBC International, che ritornerà dopo quasi un anno sul ring venerdì 24 marzo per il match contro l’inglese Germaine Brown, main event della riunione (trasmessa da DAZN) all’Allianz Cloud di Milano. All’angolo, come sempre, come ogni volta, ci sarà il padre, Andrea Zucco. E come sempre, come ogni volta, il rito: prima di cominciare, prima dello sparring o dell’incontro, la collanina con due guantoni appesi dal collo di Zucco figlio che passa a quello di Zucco padre. Solo allora, soltanto dopo, si può cominciare, fuori i secondi e boxe. “È una cosa nostra, lui la sente tanto. Mio figlio ha fatto tanto per me”. Ci aveva raccontato Ivan Zucco in un’intervista che era arrivato anche a combattere per il padre, soltanto per lui, per il papà e il suo sogno stroncato in giovane età da qualcosa di inaggirabile. Quell’unica motivazione era diventata più pericolosa che altro.

Andrea Zucco, 57 anni, è maestro benemerito della Federazione Pugilistica, titolare della Boxe Verbania con il braccio destro Andrea Canova. 108 match, 13 sconfitte, soltanto una per ko. Aveva scoperto la boxe un pomeriggio, quando con gli amici in strada aveva sentito dei rumori da uno scantinato, li avevano seguiti. “Ci trovammo sotto le luci accese, in mezzo ai sacchi, chi saltava la corda, chi faceva i guanti”. Andò loro incontro un uomo, a chiedere cosa stessero cercando. Guardare un po’, fecero quelli. Niente guardare: o vi allenate o via, chiarì l’uomo. Zucco non poteva saperlo: quel pomeriggio aveva incrociato l’uomo che sarebbe diventato il suo maestro, Matteo Del Grosso, fondatore dell’Associazione Pugilistica Verbania, e lui non avrebbe mai più lasciato il pugilato.

Cinque incontri da novizio, 103 da dilettante, in Nazionale con Franco Falcinelli, alla Scuola Militare di Educazione Fisica (SMEF) con Silvio Branco, Fabrizio Cappai, Andrea Manzi, Francesco Dell’Aquila, Giovanni Parisi. “Con Giovanni eravamo come fratelli, sempre attaccati dalla mattina alla sera. La racconto sempre questa cosa: Giovanni si era un po’ offeso perché era stato considerato una riserva per le Olimpiadi. Non ci voleva più andare. E io da dietro a insistere, a spingere per farlo partire: vai che ti sistemi, metti l’orgoglio da parte, sei il più forte. Alla fine ha vinto l’oro”. Fu un trauma il 25 marzo del 2009, quando sulla tangenziale di Voghera con la sua BMW Parisi si scontro frontalmente con un furgone. Aveva 41 anni. “Pietrificato, chiamai Salvatore Cherchi (manager di pugilato, ndr), che mi confermò. Piansi come un bambino. Conservo tutte le foto con le dediche di Giovanni e la cartolina da Seul”.

Andrea si faceva chiamare Marvin come il suo idolo Marvin “Marvelous” Hagler, voleva diventare come lui, peso medio da Brockton tra i più forti di sempre, un martello pneumatico in guardia destra che diceva: “Se qualcuno dovesse aprire la mia testa pelata, ci troverebbe dentro un guantone”. È finito tutto quando in una banale visita, prima di un combattimento, la pressione era alta da paura. “Ricordo che dovevo fare con Castellacci. 240 massima, 140 minima. Sono sempre stato ansioso. Ho bevuto una camomilla, sono uscito un po’ fuori. Niente, sempre altissima. Mi hanno portato all’ospedale militare al Celio a Roma. Ipertensione arteriosa”. Nessun sintomo in allenamento, niente sigarette e neanche caffè. Fine del sogno, a 21 anni. Soltanto qualche anno fa Zucco ha scoperto di essere positivo anche al fattore V di Leiden, una mutazione che può provocare un aumento del rischio di coagulazione eccessiva. “Perciò quando prendevo un colpo difficilmente vedevo un occhio nero o sangue dal naso, non succedeva mai, perché si formavano all’interno questi trombi. Anche l’ematologo che lo ha scoperto ha detto che qualcuno mi ha protetto dall’alto”.

Il 24 marzo, nella stessa riunione in programma all’Allianz Cloud a Milano, doveva combattere ed esordire nei mediomassimi anche Daniele Scardina, colpito il 28 febbraio scorso da un malore alla fine di una sessione di allenamento. È ancora in coma farmacologico, anche se in miglioramento. “È stata una mazzata, siamo rimasti tutti pietrificati. Da padre poi, mi fa ancora più paura. Sento troppo parlare di malori, aneurismi, infarti, che colpiscono anche i giovani. Non si può non voler bene a Daniele, ha fatto tanto per la boxe, era un personaggio mediatico che ha portato tanta attenzione al movimento, è stato molto importante. Certo con Ivan non ha mai voluto fare neanche sparring”.

Stessa categoria, non c’è mai stato niente da fare, nessun margine per un match. Zucco avrebbe fatto volentieri anche con Giovanni De Carolis, che l’anno scorso in una riunione con un entusiasmo d’altri tempi, sempre all’Allianz Cloud, aveva demolito in cinque riprese Scardina. Si dice che il romano abbia rifiutato l’incontro con Ivan Zucco, che vanta un record immacolato. 16 vittorie, 14 per ko, nessuna sconfitta. Guardia destra, anche se destrorso, ha mani pesantissime, il suo idolo è la superstar messicana Saul Canelo Alvarez, stessa sua categoria di peso. “L’ho sempre fatto confrontare con pugili di valore – dice il padre – , lui mi ha sempre trasmesso sicurezza. Ho passato nottate difficili, non sarò mai tranquillo ma lui mi conforta: è serio, è molto molto molto allenato, si copre bene, e ha le bombe nelle mani”.

Però, quando il figlio a 12 anni gli chiese di combattere, era caduto un po’ dalle nuvole. “‘Papà, io voglio combattere’, mi disse, io sono rimasto lì un po’ così”. E poi a casa, a tavolino, padre e figlio. “Ivan vedi che il pugilato è sacrificio, è uno sport duro. Papà ha preso tante mazzate, è stato in Nazionale, ha fatto tante cose ma le botte fanno male”. Zucco figlio però era convinto. A scuola andava bene, non saltava un giorno di allenamento, non ha mai preso tanti colpi. Quando ha deciso di passare professionista dalla Nazionale hanno provato a trattenerlo, gli hanno offerto un posto nelle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia. Niente da fare. “Se sbaglio, sbaglio io. Se invece indovino, abbiamo indovinato tutti noi”. Già quando doveva andare in Nazionale da giovane era un problema: “Lo accompagnavo, lo mettevo sul treno per Assisi (dove si trova il centro nazionale della Federazione, ndr), tempo due giorni e scappava, tornava a casa. Mi chiamavano i tecnici: Fallo tornare, è forte. Mi dicevano che con gente che ha fatto le Olimpiadi si doveva trattenere, era superiore, a lui però non gliene fregava niente”.

Quando Ivan era bambino sua madre e Andrea Zucco si sono separati. “Si è avvicinato alla boxe per me. Pur di starmi vicino veniva in palestra tutti i giorni. Io potevo vederlo un paio di volte a settimana. Aveva 5, 6 anni, si metteva lì a giocare e io lo consideravo relativamente. Lui vedeva che io davo importanza ai ragazzini e quindi faceva di tutto per farsi notare. Lo vedevo che imitava i ragazzi più forti ma non l’ho mai stressato. Ha deciso di fare boxe e lo ha detto alla madre che all’inizio era un po’ timorosa. Così ha cominciato”. Ivan Zucco ormai aveva deciso.

La boxe ha incollato padre e figlio, li ha stretti all’angolo e tra le sedici corde. Lo stesso Ivan ci aveva raccontato come non siano mancati i momenti difficili in tutti questi anni. Qualche risultato sbagliato, qualche furto, la stanchezza. Si era quasi rotto, Ivan Zucco. “A ogni incontro è super teso. Si rivede sicuramente in me sul ring. E io salgo sul ring anche per lui. C’è stato un periodo della mia carriera che ero arrivato a combattere solo per lui. Per lui e non per me, ed era controproducente. Abbiamo avuto anche nostri scazzi. Adesso lo faccio principalmente per me stesso: o lo fai così o meglio lasciar perdere. È uno sport troppo pericoloso”. I pugni fanno male, gli aveva detto il padre quando era ancora un bambino. Quasi quanto le ossessioni ereditate, i sogni da esaudire tramandati a qualcun altro.

Cosa ruberei a mio figlio? Credo che se l’avessi incontrato quando combattevo non avrei mai vinto, anzi credo avrei perso prima del limite. Io però avevo un po’ di cattiveria in più. Ero tremendo, scazzottavo parecchio, prendevo un sacco di colpi. Lui invece è più freddo. Se lo tocchi si incazza come una bestia, colpisce tre volte più forte”. Il regalo più bello della sua vita glielo ha fatto il figlio, nell’aprile del 2021, quando Ivan si è laureato campione italiano dei supermedi battendo Luca Capuano. “Ai miei tempi quel titolo era qualcosa fuori dal mondo, la boxe andava in televisione, in chiaro. Dopo quel regalo che mi ha fatto per me poteva anche smettere”. Lo sanno tutti che è un modo di dire.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

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