Milziade scrutava corrucciato dalle torri di Atene la strada verso la lontana Sparta. Alle sue spalle, la flotta persiana s’avvicinava minacciosa alla ben più vicina piana costiera di Maratona.
Una figura – barcollante e ricoperta di polvere – apparve sul tracciato. Finalmente!
Il grande generale corse giù dalle mura incontro a chi aspettava da cinque giorni.
Non tanti, a pensarci, per coprire ben 470 km di corsa. Tale era la distanza, andata e ritorno, fra Atene e Sparta. Ma quel soldato era il migliore degli emerodromi: infaticabili messaggeri capaci di correre senza sosta per giorni e giorni.
Stravolto, i piedi nudi sanguinanti, l’armatura incrostata di fango, Filippide crollò ai piedi del generale, che si chinò accostandosi alla sua bocca senza più fiato. Poche parole, appena sussurrate.
Milziade si alzò, annuendo. Sparta accoglieva la sua richiesta d’aiuto contro i Persiani. Ma non prima del plenilunio, poiché per gli Spartani era infausto combattere con la luna crescente. Sarebbero arrivati, quindi, fra sei giorni. Troppi, per Atene. I barbari stavano sbarcando a poche ore di marcia. Milziade decise. Gli Ateniesi – pur molto inferiori di numero – avrebbero affrontato i Persiani da soli, a Maratona.
Filippide si levò in piedi tremando, aiutato dai commilitoni, mentre il grande generale correva verso le mura, comandando a gran voce l’adunata.
Questa è la vera storia di Filippide, il più grande e famoso corridore dell’antichità.
Ma – molti obietteranno – Filippide morì di fatica dopo aver corso a perdifiato da Maratona ad Atene per 42 km, gridando con l’ultimo respiro “Nike! Nike! Nenikekiam!”, cioè “Vittoria! Vittoria! Abbiamo vinto!”, da cui l’evocativa gara olimpica della maratona, no?
Be’, questa è una leggenda. In realtà, la buona novella fu portata dallo stesso esercito ateniese, tornato in fretta per tema di un colpo di coda dei Persiani. E Filippide visse, e corse, per molti anni ancora.
Sì, vabbè, però – qualcuno sbotterà – 240 Km di corsa e poi altrettanti al ritorno… Pure questa è una leggenda, eddàje!
Invece, no. E’ accertato che gli emerodromi potevano compiere tali imprese sovrumane. E qualcuno ci riesce anche ai giorni nostri. Questo moderno Filippide è il nostro Paolo Venturini.
C’è tanto da raccontare dello straordinario ultrarunner Paolo Venturini.
Innanzitutto, Paolo è vice ispettore della Polizia di Stato. Anche lui, come fu Filippide, è quindi un uomo al servizio della Patria.
Padovano, vive e si allena alle pendici dei Colli Euganei. Inizia a correre a 6 anni e, crescendo, si appassiona alla maratona e alle grandi distanze, inforcando poi la mountain bike.
Affascinato dall’Africa, nel ’92 compie la prima impresa, pedalando attorno al lago Vittoria per 2.400 Km di savana. Questa e altre formidabili performance in tutto il Continente Nero gli guadagneranno il soprannome di Africano.
Ma la sua pista è il mondo! Nel ‘98, attraversa l’Australia da nord a sud in mountain bike per 4.446 Km. Fa lo stesso in Nuova Zelanda, però in pieno inverno australe tra ghiaccio e neve.
Nel Luglio 2001, Paolo corre a piedi attraverso la terribile Death Valley americana: 70 Km di deserto, a 86 m. sotto il livello del mare, con una temperatura di 50°.
Nel 2003, conquista il Sud America. Dalla costa cilena, corre e cammina per 8 giorni, percorrendo 470 Km! Proprio come Filippide, ma in più col tremendo sforzo di salire a 5.150 m. del monte Guane Guane.
Negli anni successivi, attraverserà di corsa il deserto Dancalia in Etiopia e – primo al mondo – il grande lago salato Chott el Djerid in Tunisia, vincerà “Le Grizz 50 Mile Ultramarathon” in Montana per la categoria Master e molte altre sfide.
La fine del ’14, è “Maximum Quota”. Paolo parte dal livello del mare di Guayaquil (Ecuador) e copre 231 km (gli stessi fra Atene e Sparta) in quattro giorni di corsa con clima avverso, arrivando a 5.500 m. sul vulcano Chimborazo, senza acclimatazione all’altura, medicinali contro il mal di montagna e ossigeno artificiale. Ancora, unico al mondo.
Seguiranno altri due epici record mondiali agli estremi della colonnina di mercurio.
Il “Maximum Temperatus in Iran, dove corre per 75 Km nel luogo più torrido della Terra, il Dasht e Lut, nel mese più caldo (67°) e con vento a 55 Km/h.
Jacuzia, in Siberia. 39 chilometri a 52,6° sotto zero. Da allora, nel museo di Storia Nazionale della Jacuzia c’è un tricolore italiano con la sua firma.
Ma Paolo Venturini non conosce confini! Sarà lui a dirci della prossima impresa:
“Da sempre sono alla ricerca dei miei limiti e provo a dare nuove risposte al mondo scientifico. E, ancora una volta, cercherò di fare ciò che nessuno ha mai tentato. Parlo dell’India, del Khardung La Pass: il valico stradale più alto del pianeta, a 5.602 m. sul livello del mare, dove l’essere umano, per la rarefazione dell’aria, non può abitare. Lassù, le capacità del corpo umano si riducono di oltre il 35% e anche il solo camminare è un gesto estremo. Io proverò a correre, fino a quando non ci riuscirò più. Un team di studiosi dell’Università di Padova e indiani monitorerà le mie reazioni e i miei parametri fisici in uno stress-test mai provato prima. Sarà anche l’occasione per portare attenzione ai cambiamenti climatici, specie in quell’area. Essere il Goodwill Ambassador del Northern Forum, l’organizzazione dei paesi e delle regioni sul Mar Glaciale Artico, mi spinge a diventare il testimone dei cambiamenti climatici che sconvolgono la vita delle genti in quei luoghi. Durante il mio recente sopralluogo sul Khardung La Pass a novembre, quando di solito l’inverno ha già da tempo portato metri di neve, ho constatato invece che, per l’anomala assenza di precipitazioni da agosto, la regione è in drammatica crisi idrica. Nelle valli sottostanti i pascoli per yak e ovini sono quasi scomparsi e perciò le popolazioni locali mancano di latte, carne e della famosa lana Kashmir. Un disastro naturale, alimentare ed economico.
Per questo ho creato il progetto “Ladakh Hight Altitude”, i cui focus saranno sport, record e scienza, ma anche natura e clima. Il suo successo sarà la mia sfida più bella.”