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Parlare con Padre Federico Lombardi, il gesuita al servizio di tre Papi – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – è un’esperienza che illumina il cuore e la mente. L’uomo della “comunicazione vaticana”, oggi presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, delinea la figura di Papa Ratzinger, che in tutta la sua spiritualità e concretezza aveva preparato il suo incontro con Dio per tutta la vita.
Papa Ratzinger ci ha mostrato che la fede è un processo, un cammino. La sua è stata una fede intelligente. “Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Fede e ragione sono quindi il filo conduttore del suo pensiero?
Questo è il concetto di un uomo che è stato soprattutto un grande credente, con una fede accompagnata dal pensiero, dalla meditazione e dalla ragione. Fin da giovane ha amato articolare la fede, intrecciandola anche con la cultura del nostro tempo. L’esperienza del Concilio Vaticano II è stata fondamentale nella sua formazione di giovane ecclesiastico. Quando Papa Wojtyla lo designò custode della dottrina della fede, disse: “Io sapevo che se avevo una forza, era quella di presentare in un modo positivo la fede cristiana, che doveva essere in costante dialogo con il nostro tempo”. Questo è stato il suo dono peculiare. La ragione era la via per entrare in dialogo con gli uomini e le donne del nostro tempo. Ratzinger viveva con preoccupazione il declinare della figura di Dio all’orizzonte della società europea, lo percepiva come un pericolo. Il suo obiettivo era di dare una rappresentazione positiva della fede al mondo. Aveva una visione realistica e bella della vita e mai disperata. Dio non ha bisogno di essere salvato da noi, ma dobbiamo fare il possibile per la salvezza dell’umanità.
Ha difeso saldamente i principi della vita definendola “non manipolabile”. Ha parlato di “facile pietismo”, in nome del quale si vuol minare questa vita “travestendola di dignità”. Come affrontare le paure fisiche e morali, rimanendo saldi nella fede?
Un tema che lui sentiva molto era quello dei diritti moltiplicati all’infinito, che si autodistruggevano a vicenda e che potevano entrare in contraddizione. Parlò della ricerca del consenso dei valori comuni in questa società moderna al Parlamento di Berlino. La visione della persona umana, l’essere creata da Dio, dà consistenza alla sua dignità. La fede deve aiutare la ragione a riconoscere i propri limiti e a superare impasse che in altro modo non si riescono a superare. Tutelare troppo la vita umana rischia di colpirla in altro modo, ledendone la sacralità. Iper-proteggere non significa voler evitare a tutti i costi le sofferenze fisiche, che fanno parte della nostra natura umana, quindi anche “necessarie” per la consapevolezza della nostra natura.
Era molto consapevole delle nuove situazioni complesse che la società presentava, in cui si doveva esercitare la ragione, attingendo però dalla trascendenza dei valori cristiani. Gli ultimi Papi ci hanno dato un esempio della malattia e della sofferenza. Papa Wojtyla con la malattia e Papa Benedetto ci hanno mostrato come si invecchia, con fragilità e decadenza fisica, ma con una suprema dignità. È stato un “grande anziano”, esempio e ispirazione per tanti anziani malati e fragili.
Un Papa che ha lavorato nella Chiesa e per la Chiesa e nel suo ritiro in monastero ha continuato a portare la croce. Il suo apparente silenzio ha in realtà sostenuto e guidato il “gregge”?
Proprio l’affetto e l’ondata di partecipazione affettuosa che hanno voluto rendergli onore in queste ore sono la dimostrazione dell’apprezzamento verso di lui e il valore della sua presenza spirituale, in modo discreto e ritirato. Sono trascorsi dieci anni dalla sua dimissione e la sua presenza non è mai andata in contrasto con quella di Papa Francesco. Prima dell’elezione di Francesco ai cardinali aveva già detto che “dava obbedienza e sostegno al suo successore”. Questa convivenza è stato un bellissimo tempo. Una presenza spirituale e granitica che pregava per Francesco, perché sapeva cosa stava attraversando il suo successore.
Un aspetto mite e apparentemente delicato. Che uomo è stato Papa Ratzinger nella sua vita quotidiana, rimanendo nel “recinto di Pietro”?
Era un uomo molto regolare, disciplinato e questo lo ha aiutato. Ha vissuto il declino delle forze fisiche, ma con una totale lucidità e pienezza della facoltà mentali, conservando rapporti con le persone più care e vicine, teneva rapporti epistolari e concedeva incontri e udienze private. Incontrava gli intellettuali del premio Ratzinger. Il 1 dicembre sono stati premiati due studiosi. Il colloquio con lui durava mezz’ora, a volte anche un’ora. Il suo sguardo era decisamente caratteristico, intriso di intelligenza e curiosità che vivificava chi gli stava intorno. Un volto molto disteso, sereno, ti accoglieva con lo sguardo che “andava oltre”, fuori dimensione. Era molto piacevole la sua presenza, riempiva di commozione e serenità profonda. Si incontrava un uomo non turbato o angosciato, nonostante la fragilità che doveva portare, la sua croce terrena, ma si preparava con la preghiera, la meditazione, in un raccoglimento interiore profondo, all’incontro con il Signore. L’umano toccava il Divino.
Una vita lunga, un viaggio umano e intellettuale ricchissimo. Quanta serenità c’era in quest’uomo di Dio e cosa non dimenticherà chi l’ha conosciuto?
Chi l’ha conosciuto ha un ricordo bellissimo, molto diverso dall’idea dell’intellettuale rigido, al di sopra della folla. Era un uomo di profonda sensibilità e attenzione e con lui ero perfettamente a mio agio. Nonostante fosse su un piano intellettuale superiore, faceva sentire chiunque accolto con grande dolcezza e mitezza. Sapeva stabilire rapporti ornandoli di squisita accoglienza e presenza di spirito. Era molto curioso, con diversi interessi, in lui perpetuava perenne il desiderio del bello, del buono e del profondo. Qui intravedeva la complessità umana, disegnata dalla mano di Dio.
Una chiesa che, attraverso questo “enorme sconvolgimento”, ritroverà se stessa e rinascerà “semplificata e più spirituale”. È stata la sua profezia sul cristianesimo del futuro. Ratzinger ci accompagnerà per i prossimi anni e di cui dobbiamo leggere ancora molto?
Ha scritto molto e ci lascia una grande eredità. I volumi dell’Opera Omnia parlano di un’attualità moderna: essendo profondi e cogliendo la realtà al di sotto della superficie, rimangono testi da reinterpretare di continuo. Ratzinger continuerà ad essere un’ispirazione della Chiesa per il futuro. Ha dato e darà un contributo sostanziale alla Chiesa. Non bisogna fermarsi all’esegesi dei suoi testi, ma chiedeva di seguire le linee e gli orientamenti e atteggiamenti intellettuali e spirituali per andare avanti e guardare oltre. Va letto con attenzione: si potranno cogliere la limpidezza e la chiarezza del suo pensiero potente. Ci insegna come entrare in profondità nella natura umana, la materia più bella e complessa.