Deontologia e collaborazione con i colossi del web per “migliorare la qualità dell’informazione e premiare l’impegno di quei giornalisti che fanno informazione seria”. Intervista a  Ruben Razzante, docente presso l’Università Cattolica di Milano e autore del Manuale di Diritto dell’informazione e della comunicazione

Regole deontologiche e collaborazione con i colossi del web per “migliorare la qualità dell’informazione e premiare l’impegno di quei giornalisti che fanno informazione seria”. Così Ruben Razzante, docente di diritto della comunicazione per le imprese e i media e di diritto dell’informazione presso l’Università Cattolica di Milano, a proposito dell’evento “Un’agenda per l’editoria” in cui ha presentato il suo Manuale di Diritto dell’informazione e della comunicazione.

Quali sono stati i temi affrontati durante l’incontro?

Con il Covid e con la guerra, insomma con le difficoltà degli ultimi tre anni è stata posta grande enfasi sul tema delle risorse destinate all’editoria. Un tema su cui insiste molto anche il dipartimento per l’informazione e l’editoria della presidenza del Consiglio. A mio parere bisogna ora provare a mettere a terra una serie di elementi che dovrebbero portare a un salto di qualità: non più considerare il tema delle risorse solo nell’ottica del salvataggio dell’editoria, ma concentrarsi sulla qualità dell’informazione. Passare quindi da una logica quantitativa a una logica qualitativa.

Può fare un esempio?

L’Agcom ha promosso un regolamento sull’equo compenso. Finalmente i colossi del web saranno chiamati, attraverso accordi con i gruppi editoriali, a contribuire alla produzione dei contenuti che indicizzano sulle loro piattaforme. Questo indica una logica di maggiore corresponsabilità tra i produttori e i distributori di informazione. Le risorse non devono essere assegnate in modo aprioristico o solo sulla base dei click o della consistenza dei gruppi editoriali. Devono essere assegnate sulla base di valutazioni di qualità del prodotto informativo.

Lei propone un sistema meritocratico per l’accesso ai finanziamenti.

Insomma, bisogna cominciare a far capire che l’informazione di qualità non dipende dal blasone di una testata né dalla storia di un gruppo editoriale. Dipende dalla bontà del prodotto di giornalisti, magari non famosi, che quotidianamente rispettano le regole della professione. Vorrei che si capisse che le regole sono fatte per essere rispettate e dunque devono incidere sull’erogazione dei fondi all’editoria. Le testate che rispettano la deontologia, rispettano le leggi professionali, fanno verifiche sulle fonti e mostrano di essere attendibili nei contenuti che pubblicano avranno certamente maggiore credibilità e quindi potranno accedere in modo meritocratico alle risorse che i colossi digitali metteranno a disposizione.

Come si misura la qualità nel concreto?

Io ho proposto alcuni criteri non esaustivi. Ad esempio il numero di procedimenti disciplinari a carico del giornalista, numero di querele per diffamazione o per mancata verifica delle fonti, numero di violazioni accertate dai consigli disciplinari. Sono criteri anche oggettivi, entro certi limiti. Serve che i colossi del web collaborino su questo e prendano atto delle decisioni che vengono prese dai consigli disciplinari. E su questa base eroghino i finanziamenti. Non solo su questa base ovviamente, ma è importante che i criteri non siano esclusivamente quantitativi.

Tutto questo migliorerebbe la qualità dell’informazione?

Naturalmente. E poi premierebbe l’impegno di quei giornalisti che prima di scrivere una notizia fanno tremila verifiche, che si curano di non violare la privacy dei protagonisti dei fatti, che non offendono un collega con un post sui social perché si rendono conto che ci va di mezzo la dignità dell’intera professione. Ci sono testate che fanno informazione seria e danno le notizie con sobrietà, equilibrio e pacatezza e altre no. Abbiamo già delle regole che disciplinano la categoria, dobbiamo farle rispettare.

Ulteriore elemento è quello del copyright.

I contenuti di moltissime testate circolano nel web come pdf piratati. Questo certamente nuoce gravemente ai bilanci delle aziende editoriali. Quello della pirateria è un mercato florido. La polizia postale fa quello che può, interviene dove può e dove ci sono segnalazioni, ma il fenomeno è molto molto diffuso. Bisogna fare qualcosa anche se non saprei cosa, di certo incide pesantemente sulla competitività dell’informazione di qualità. Bisogna che gli algoritmi funzionino ancora meglio per scovare le violazioni del copyright e questo è un altro elemento emerso nel dibattito.