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“Non si può privare un detenuto anche della libertà morale” – Il Riformista

Il caso Cospito

Angela Stella, Valentina Ascione — 16 Febbraio 2023

“Non si può privare un detenuto anche della libertà morale”

Oggi pomeriggio il Comitato Nazionale di Bioetica si riunirà online per iniziare a trattare i quesiti posti dal Ministero della Giustizia sul caso di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da ormai 118 giorni per ottenere la revoca del 41 bis. In realtà nel documento pervenuto al Cnb, il nome Cospito non compare mai perché il Cnb non può dare pareri su casi singoli. Esso potrebbe non esprimere un giudizio unico ma elencare i membri a favore di una opinione e quelli a favore di un’altra. La decisione non è attesa per oggi ma per il 23 o 24 febbraio, giorno in cui anche la Cassazione si esprimerà sul caso.

Come ci spiega la professoressa Grazia Zuffa, membro del Cnb, “è legittimo che il Governo ci chieda un parere ma la decisione finale appartiene a Nordio. Quello che facciamo noi è fornire un parere, illustrare i punti sensibili della questione dal punto di etico. E ci vuole un tempo adeguato per approfondire questioni non semplici. Per correttezza istituzionale, è importante che il CNB non sia strumentalizzato e conservi di fronte all’opinione pubblica la sua autonomia e autorevolezza”. Ma cosa chiede via Arenula? Il capo di gabinetto Rizzo è costretto a strani giochi di equilibrio verbale, non potendo nominare Cospito: “Si ponga il caso di un consenso al rifiuto o rinuncia di trattamenti sanitari, specie se salvavita, che sia però subordinato al conseguimento di finalità estranee alla situazione clinica personale, come ad esempio l’ottenimento di un bene in discussione, sia esso materiale o immateriale (ex: rifiuto di alimentazione artificiale al fine dell’ottenimento della proprietà di una casa contesa, rifiuto di alimentazione artificiale al fine dell’ottenimento di un regime di libertà dalla detenzione carceraria)”.

E allora chiede: “È possibile considerare questa espressione di volontà come un libero consenso informato in ambito sanitario?”. In pratica si chiedono dal ministero: “Rifiuto e rinuncia a trattamenti sanitari possono essere considerati una scelta sanitaria libera, se il fine non è la libertà di cura?”. Secondo quesito: “In condizioni di limitazione della libertà personale, come ad esempio la detenzione carceraria, rifiuto e rinuncia di trattamenti sanitari possono consistere in una condotta autoaggressiva, diventando una modalità per rivendicare i propri diritti, piuttosto che una scelta consapevole nell’esercizio della propria libertà di cura. In questo contesto, considerando che la persona è completamente affidata alle istituzioni statali, è eticamente accettabile che esse consentano a chi mette in atto questi comportamenti di lasciarsi morire?” Il terzo e quarto chiedono sostanzialmente se per un detenuto si possono applicare limiti al rispetto della legge 219/2017 sul Biotestamento e la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 sulla non punibilità in determinate circostanza dell’aiuto al suicidio (Caso Cappato/Dj Fabo).

Come sappiamo Cospito ha scritto due lettere, indirizzate al suo avvocato Rossi Albertini. Vi ribadisce la sua volontà di rifiutare l’alimentazione forzata e qualsiasi altro trattamento sanitario finalizzato ad interrompere lo sciopero della fame. Per la professoressa Zuffa, “nel quesito non si affronta una questione importante: quella dello sciopero della fame e del suo significato. Inoltre si fa riferimento al suicidio ma in questo caso non è rilevante perché chi fa uno sciopero della fame non lo porta avanti per morire ma per aprire una discussione con le istituzioni su un tema”. “‘Il corpo è la mia arma” ha detto Cospito e Nordio lo ha considerato un gesto opposto alla nonviolenza, confermandogli il 41bis.

“Le parole di Cospito possono essere strumentalizzate – prosegue Zuffa Ma il punto è un altro: non si può mettere in discussione che lo sciopero della fame sia una azione di disobbedienza civile. Quello che trovo molto grave è pensare che un digiuno nonviolento fuori dal carcere sia considerato lecito, se fatto da un detenuto si trasformi in una pratica violenta”. L’altro nodo cruciale è il consenso ai trattamenti: “perché il diritto al rifiuto dovrebbe valere solo per i liberi e non anche per i detenuti? Guai se la limitazione della libertà fisica si trasformasse in una limitazione di libertà morale del detenuto”.

Angela Stella, Valentina Ascione

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