Occorre ragionare su obiettivi possibili e dimensionati in modo adeguato, come si addice ad una nazione che sta nel gruppo di testa fra i sostenitori dell’opposizione alla Russia di Putin ma che non ne detiene la leadership.

Non senza qualche polemica si avvicina la data della conferenza di Roma per la ricostruzione dell’Ucraina, prevista per i giorni 26 e 27 aprile.

È una buona idea ed è ragionevole affrontare l’argomento? E ancora: qual è la formula migliore di questo appuntamento dal punto di vista dei suoi risultati concreti? Io credo si debba ragionare con lungimiranza e realismo, avendo chiari quali sono i pesi in campo e quali gli obiettivi.

Mi spiego meglio: non so se qualcuno (ad esempio nel governo) ha pensato di fare di questo incontro internazionale la conferenza in assoluto più importante sul tema, obiettivo nobilmente ambizioso ma, sostanzialmente, velleitario.

Ciò non solo perché l’Italia è un pezzo (ma solo un pezzo) della vasta coalizione che sostiene lo sforzo oggi difensivo e domani economico-industriale dell’Ucraina, ma anche perché è categoricamente escluso che l’incrocio di interessi militari, economici e politici tra Usa, UK, Francia e Germania porti a Roma la “Conferenza delle Conferenze”.

Occorre quindi ragionare su obiettivi possibili e dimensionati in modo adeguato, come si addice ad una nazione che sta nel gruppo di testa fra i sostenitori dell’opposizione alla Russia di Putin ma che non ne detiene la leadership.

Da febbraio dello scorso anno va detto comunque che i (due) governi italiani che hanno incrociato i loro destini con la guerra si sono comportati con assoluta coerenza (tra loro e verso verso l’esterno), inducendo l’intero mondo a cogliere la “forza” di questa continuità nel passaggio da Draghi a Meloni. E va peraltro riconosciuto al primo di aver ben gestito le tensioni (ma era relativamente facile nel primi messi dopo l’invasione) con una parte della sua maggioranza (Lega e M5S) ed alla seconda di aver fronteggiato sin qui divergenze analoghe con intelligenza ed equilibrio. Così come va riconosciuto a diversi soggetti di aver subito compreso la necessità di mobilitarsi, di cui i viaggi a Kiev del Presidente di Confindustria Bonomi sono testimonianza precisa.

Cosa aspettarci dunque dalla conferenza di aprile a Roma? Direi molto, a condizione di aver chiaro l’obiettivo.

Che è così riassumibile: l’appuntamento serve per generare un’agenda italiana, la cui armonizzazione con quella internazionale avverrà nelle sedi proprie e con i tempi necessari, nulla di più e nulla di meno.

D’altronde noi siamo partner molto interessante per l’Ucraina, perché il nostro tessuto industriale è agile, articolato e vocato alle esportazioni, quindi anche capace di cogliere opportunità di medie e piccole dimensioni. Si tratta cioè di proseguire nel dialogo concreto sui dossier aperti senza pretendere di lavorare al quadro d’insieme, che per forza di cose, passerà solo pro-quota da Roma.

Se vogliamo fare un esempio di analoga strategia, segnalo quello della Turchia, che nel vertice di Leopoli dello scorso agosto ha già firmato un articolato memorandum sulla ricostruzione.

Non si tratta di fare da soli per il gusto di fare da soli, si tratta di esercitarsi sull’unico terreno che serve al nostro sistema economico: quello delle cose possibili.