Il film nelle sale italiane dal 23
Chiara Nicoletti — 19 Febbraio 2023
Viene riconosciuto finalmente in tutta la sua internazionalità Massimo Troisi, nel 70° anniversario dalla sua nascita (il 19 febbraio) e a quasi trent’anni dalla sua scomparsa, grazie al ritratto appassionato e personale che di lui ne fa Mario Martone con Laggiù qualcuno mi ama, presentato al 73º Festival Internazionale del Cinema di Berlino nella sezione Berlinale Special. Uscirà il 19 febbraio nelle sale per un’anteprima e poi ufficialmente il 23 con circa 400 copie in tutta Italia.
Un viaggio personale, quello del regista di Qui Rido io, dentro il cinema di Massimo Troisi più che dentro il suo essere comico e attore. Quella con Troisi, è stata per Martone un’amicizia iniziata negli ultimi anni di vita di Massimo, incontrato al Festival di Montpellier durante la presentazione di Morte di un matematico napoletano. Nell’aria, poi, l’idea di un film insieme mai realizzato e finalmente oggi, Laggiù Qualcuno mi ama. A Berlino Martone racconta: “A distanza di anni dal film che non abbiamo potuto fare allora, ho voluto riportare Massimo sul grande schermo per gli spettatori. Quando ho avuto la proposta del documentario, ho chiesto di poterci montare i suoi film dentro. Amavo i suoi film da regista, quindi il suo cinema torna a vivere: provo a raccontare perché mi sembrava così bello nel suo rapporto con la Nouvelle Vague. Massimo era ribelle e aveva questo istinto politico a cui era sempre rimasto fedele”.
Si mette in gioco personalmente Mario Martone mettendoci letteralmente la faccia insieme a Jacopo Quadri, suo montatore storico, mentre si ritrae nell’atto di guardare e selezionare quegli spezzoni del cinema di Troisi da inserire nel film. “Ci sono tantissimi documentari molto belli su Massimo Troisi – commenta Martone, spiegando l’approccio del suo film. I racconti degli amici di Massimo sono cose che abbiamo sentito molte volte ma volevo provare a spostare l’asse. Volevo trattare Massimo come se fosse un pittore del 400 su cui si fa un documentario. Da lì viene fuori l’uomo”. Col montaggio dei film si intersecano alcune conversazioni, non con persone che frequentavano Troisi, ma con artisti che lo hanno amato e ne sono stati influenzati, come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, critici che lo hanno studiato, come Goffredo Fofi e la rivista Sentieri selvaggi, e due tra gli artefici della sua opera postuma, Il postino, Michael Radford e Roberto Perpignani.
A donare una voce alle riflessioni e ai pensieri del regista di Ricomincio da tre, a cui Martone ha avuto accesso, sono Pierfrancesco Favino, Massimiliano Gallo, Valerio Mastandrea, Lino Musella, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo e Toni Servillo. Laggiù qualcuno mi ama mette in luce uno degli aspetti più geniali e rivoluzionari di Troisi, l’aver rappresentato gli uomini e soprattutto le donne con uno spessore e una verità che ancora fatichiamo a vedere oggi nei film. Troisi condivide il merito di tutto questo con Anna Pavignano, sua compagna per molto tempo e co-sceneggiatrice per quasi tutta una vita artistica.
Rivela Martone: “Quando guardavo i suoi film mi incuriosivano questi personaggi femminili forti, diversi per l’epoca e vedevo sempre questo nome, Anna Pavignano. Con l’occasione di questo film ho conosciuto Anna, torinese, che al tempo era una ragazza che veniva dai movimenti femministi, di cui Massimo si era innamorato. Pensate a Massimo Troisi, già famoso per la Smorfia, che, al suo esordio nel cinema, invece di prendere i migliori sceneggiatori “maschi” sul mercato, come si sarebbe fatto normalmente allora, scrive il film con la ragazza di cui si è innamorato. Questo dice tanto sulla totale libertà di Troisi, cosa che mi piaceva moltissimo e che si rifletteva nel modo in cui girava, inquadrava e montava le cose”. In un film su di una figura fondamentale per la cultura ed arte napoletana, non poteva mancare lo sguardo sul sodalizio artistico con Pino Daniele, altro pezzo di cuore di Napoli, amico fraterno di Massimo e suo alter ego musicale dentro e fuori dal cinema: “Le musiche di Pino si sposano con il cinema di Massimo come Nino Rota con Fellini, un quid artistico che nasce dalla fusione delle arti dei due” precisa Martone. Si fa prendere dall’emozione il regista nel descrivere “un dono” di questo film: rivedere Il Postino.
“Per me era un film che non c’era, non esisteva, l’avevo visto tra le lacrime, era rimasto un buco nero per me come spettatore. Questo lavoro mi ha portato a rivederlo con Anna Pavignano ed a considerarlo come il punto di arrivo di tutto il cinema di Troisi, nonostante non fosse lui il regista”. Oltre all’amicizia, quali sono i punti di contatto tra Mario Martone e Massimo Troisi? “Siamo diversissimi ma credo ci accomuni questo senso di libertà, il voler fare più o meno le cose che vogliamo fare. Poi, anche io scrivo i miei film con una donna, Ippolita Di Maio, per capire che cosa significa il rapporto tra maschile e femminile nella scrittura. Siamo entrambi figli di Napoli in una maniera totale, mal soffrendo i luoghi comuni e gli stereotipi nei quali si viene messi dentro. Cosa lega me e Massimo? Credo che il cinema sia frutto di un lavoro collettivo ma al tempo stesso un film ha una cifra d’autore molto precisa. Riconosciamo Fellini ma non possiamo dimenticare Nino Rota ed Ennio Flaiano. Solo il cinema riesce a farti sviluppare la tua poetica d‘autore nella relazione con gli altri. In questo senso Il Postino può e deve essere letto come ultimo film di Troisi anche se non lo ha diretto lui perché è il film che ha scritto e voluto fare”.
Il genio di Troisi è indubbio in Italia ma come verrà percepito dal pubblico internazionale della Berlinale? Martone non esita: “Il discorso sull’amore che non si raggiunge mai, il rapporto con una città in cui sei dentro e fuori contemporaneamente, l’inquietudine e il disappartenere sono temi universali che si possono rintracciare benissimo in altri cineasti, ad ogni latitudine”.
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