Roma, 19 feb – Cavalli Selvaggi è un piacevole libro sul calcio pubblicato qualche anno fa dai tipi di Eclettica. In questa fatica il corrispondente della rosea Matteo Fontana intreccia in maniera dettagliata (e altrettanto originale) le vicende più crude dell’Italia di piombo con le avventure – romantiche e ribelli – dei campioni di allora. Sfere di cuoio, eccentrici protagonisti: come Roberto Vieri. Bob – basettoni e tante sigarette al giorno – non è solamente il padre di uno dei più forti centravanti dell’ultimo quarto di secolo. Il fantasista con nomignolo americano infatti è stato il “primo emigrante” del nostro pallone. Alla brevissima fuga in Canada (1975) seguì l’esperienza australiana nei Marconi Stallions, compagine del quinto continente fondata proprio dalla comunità italiana.
Marconi Stallions: veste tricolore, anima italiana
Maglia verde, pantaloncini bianchi, calzettoni rossi. Se non bastasse la divisa tricolore a tradire le origini – non è un caso che quella da trasferta sia azzurra – concentriamoci sul nome. Ovvero un omaggio al padre della radio, al quale si deve il primo messaggio “senza fili” ricevuto nella terra dei canguri. Era il 1918. Nel marzo 1930 poi il genio nativo di Bologna accese le luci del municipio di Sydney direttamente dal suo laboratorio galleggiante genovese.
Proprio in un sobborgo della capitale australiana un nutrito gruppo di connazionali, centosei per la precisione, decise di unirsi in una società di bocce, il Club Marconi. Dal passatempo tipico della penisola mediterranea l’associazione si ramificò ben presto in varie attività tra cui, appunto, il calcio.
Da Bob a Bobo
All’arrivo di Bob i soci erano già diventati ottomila. «Andiamo gratis a vedere l’Australia e mi pagano pure» dirà Vieri alla moglie prima di partire insieme per quell’avventura che da sole otto partite (così prevedeva il contratto iniziale) continuò invece per diversi campionati.
Nonostante oggi militino nella seconda serie, gli Stallions si sono laureati per quattro volte campioni nazionali. Unici, insieme al South Melbourne, a presenziare in tutte le edizioni della National Soccer League – massima categoria che una ventina d’anni or sono ha fatto spazio alla A-League. Proprio a Sydney, dopo aver provato cricket, rugby e basket (discipline decisamente più quotate a quelle latitudini) segnò le prime reti il figlio Christian.
Non solo la dinastia Vieri
Insieme a Bobo, si metteva in mostra anche Paul Okon, oggi vecchia conoscenza della Serie A. Centrocampista con madre italiana, ha vestito le maglie di Lazio, Fiorentina e Vicenza. Al “Palazzo” – così è soprannominato il Marconi Stadium – ha iniziato a parare invece Mark Schwarzer, portiere di professione e primatista di presenze con la selezione socceroos. Una vita in Premier League (Middlesbrough, Fulham), è stato il dodicesimo nel Leicester campione d’Inghilterra di Claudio Ranieri. Stessa generazione di Harry Kewell, fantasista ex di Leeds, Liverpool e Galatasaray. Al netto degli infortuni uno dei talenti più cristallini che il calcio australiano abbia mai espresso
Quella del Marconi Stallions è una storia forse lontana, ma non così troppo. “Per primo con prodigi scientifici e ali spirituali legò l’Australia al mondo”: nell’atrio della sede è ancora presente il busto del genio immortale, donato nel gennaio ‘59 dal governo italiano. E’ proprio vero, lo abbiamo sempre fatto meglio degli altri. Anche a sedicimila chilometri di distanza.
Marco Battistini
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