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La sinistra non sa ridere e con i “compagni” di oggi Peppone sarebbe incazzatissimo | CulturaIdentità

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Parla il direttore del Candido che inizia una collaborazione on CulturaIdentità: una rasoiata al politicamente corretto

Giornalista, disegnatore, autore. Romano classe ’74, fa la gavetta su L’Italia Settimanale di Marcello Veneziani. Ha collaborato con Corriere della Sera, Il Tempo, Il Secolo d’Italia, La Peste, L’Italiano, Il Borghese e Par Condicio, di cui è stato co-fondatore e caporedattore. Ha anche fondato e diretto il settimanale Veleno e l’inserto satirico del quotidiano Libero. In più collaborazioni con Rai, Mediaset, Sky. Dal 2021 è ad Anni20 di Rai 2 come autore e disegnatore satirico. Dal 2014 è direttore di Candido, la storica rivista di Giovannino Guareschi. Lui è Alessio Di Mauro.

Dal 3 febbraio inizi una collaborazione con CulturaIdentità, sulla rivista cartacea e sulle nostre pagine web, cosa ci dobbiamo aspettare?

Una sorta di presidio iconografico del politically scorrect. Che poi è ciò che una vignetta dovrebbe sempre essere. Purtroppo, per via del monopolio culturale esercitato dai progressisti (talvolta, in passato, persino con la complicità della stessa destra politica), nel nostro Paese anche la satira riflette i dogmi del politicamente corretto. Saranno insomma “mine” di grafite piazzate sul terreno del pensiero unico. Non resta che aspettare il botto e allertare l’avvocato. Ditemi che ne avete uno bravo…

Hai ereditato il Candido di Guareschi: ti pesa questo retaggio così “ingombrante”?

M’inorgoglisce. Ho realizzato un sogno. Da ragazzino, col gruppo di lavoro della Peste, avevo lavorato a un paio di numeri zero del Candido, che ai tempi aveva un’altra proprietà. Nottate indimenticabili avvolti nel fumo fitto dei Toscani. Pieni di idee, di vino e di enormi aspettative. L’uscita doveva essere imminente. E in me, a fare da detonatore su tutta quella meravigliosa energia, c’era l’entusiasmo dei vent’anni. Puoi immaginare la delusione quando scoprimmo che il giornale non sarebbe uscito mai. L’editore si defilò all’ultimo e io iniziai ad avere contezza di ciò che mi sarebbe stato sempre più chiaro negli anni a venire: fare satira in questo Paese – in cui il giornalismo è troppo spesso il cucciolotto da salotto del potere piuttosto che il famoso “cane da guardia” – è un’impresa difficilissima che spaventa tutti.

Ci vuole tenacia e un’enorme dose di coraggio, come ci ha insegnato proprio Guareschi. Per questo, quando mi si è ripresentata la possibilità di lavorare per il Candido, addirittura nella viste di direttore, è stata una gioia immensa. Un cerchio che si chiude dopo più di vent’anni. Certo l’eredità è enorme, ma non mi spaventa, se non altro perché noi, a differenza di Giovannino, abbiamo una grossa attenuante: lui poteva misurarsi con statisti del calibro di Einaudi e De Gasperi, pre-condizione ideale per chi fa satira. Noi, invece, abbiamo a che fare con Giggino Di Maio ed Elly Schlein. Gente che la satira se la fa in proprio, rendendoci la vita quasi impossibile: fare la caricatura della caricatura è complicato, ma noi ce la mettiamo tutta.

Guareschi inventò i “trinariciuti” per sfottere l’eccellenza progressista: se oggi fosse vivo come chiamerebbe i loro epigoni?

Siamo nell’era del metaverso e anche gli ex-compagni si sono evoluti. Oggi non hanno più le tre narici e Giovannino probabilmente li disegnerebbe con un pratico e invisibile dispositivo wi-fi installato nel naso per una connessione rapida. Non più con l’Unità, ma con i poteri forti della finanza globalizzata e con tutto ciò che ne discende: cultura gender e “fluidità” innanzitutto. Un cortocircuito pazzesco che neanche la più fervida immaginazione del nostro padre fondatore avrebbe mai immaginato. Peppone sarebbe incazzatissimo…

D’Alema querelò Forattini per una vignetta (querela poi ritirata): tu hai mai avuto dei guai per un tuo disegno?

Diverse volte, per fortuna. Perché le querele, per quelli che fanno il mio mestiere, sono una sorta di medaglia sul campo. Me lo diceva sempre Vincino che appena metteva piede in redazione (che poi era casa sua) chiedeva speranzoso come un bambino se ci fossero state notifiche dal tribunale.

Io ai tempi di LiberoVeleno sono riuscito a prenderne una persino da colui che, in quel momento, era il giudice più importante d’Italia. E in quell’occasione mi illusi davvero di avercela fatta e di finire in galera. A quel punto sì che avrei potuto dirmi davvero l’erede di Guareschi. Mentre già preparavo la mia arringa difensiva ad effetto da declamare in aula – e già assaporavo i titoloni sui giornali – l’ufficio legale mi comunicò che la cosa era rientrata e che non c’era stato alcun rinvio a giudizio. Insomma, tocca impegnarsi di più.

Molti musulmani mal tollerano le vignette su Maometto: la libertà di satira ha dei confini? Charlie Hebdo fa satira?

In un paese civile l’unico confine che deve avere la satira abita nella sensibilità e nella coscienza di ciascun autore satirico. La satira deve sempre scagliarsi contro il potere in tutti gli ambiti in cui quest’ultimo si manifesta. Assurdo attaccare un’idea o una fede come fa “Charlie Hebdo”. Posso fare una vignetta contro il potere del Vaticano, ma mai contro Cristo o contro i cristiani. Ergo le vignette su Maometto io non le avrei mai fatte. Per non parlare di quelle che ironizzano su una tragedia come il terremoto che colpì il centro Italia.

Qui del resto c’è l’unica vera differenza tra la satira “di destra” e quella “di sinistra”: noi veniamo da una tradizione in cui la satira è interpretata come il tentativo di riaffermare, attraverso l’invettiva e la risata insolente, la dimensione seria e persino “sacra” in cui dovrebbero muoversi la politica e il potere. Castigat ridendo mores, dicevano a Roma i nostri padri, coloro che la satira l’hanno inventata. A sinistra invece c’è una visione nichilistica: non esistono limiti etici e c’è spazio anche per la volgarità e la dissacrazione fine a se stessa. Detto questo, mi fa orrore vivere in un Paese che limiti per legge la libertà di espressione artistica. Sarebbe uno scivolamento verso quelle civiltà in cui ancora si rischia di finire lapidati per una vignetta. I limiti della satira devono restare un fatto legato alla sensibilità dei singoli autori.

Ti provoco: nel 1997 Stoccolma da il Nobel a Dario Fo: “E’ un guitto” (i critici), “Le frontiere della letteratura si sono ampliate” (gli entusiasti). Tu da che parte saresti stato?

Dare il Nobel a uno che fa satira è una specie di contraddizione in termini. Un po’ come il trasferimento della Sinistra nella Ztl. La satira è la voce dei vessati, degli scomodi, degli irregolari. Di tutti coloro che vivono in una sorta d’idiosincrasia congenita con il mainstream e con il pensiero unico. Gente che si trova a proprio agio nelle osterie e guarda con grande diffidenza agli spazi e ai riconoscimenti istituzionali.

Lo dicevo prima: l’unico vero premio per un autore satirico è le reazione indignata che il suo lavoro suscita in coloro che ne sono oggetto.

Secondo te perché a sinistra non sanno ridere? Chi c’è a sinistra che sa farlo? E a destra c’è qualche “musone”?

Di sicuro, a destra, certo malinteso superomismo ha fatto non pochi danni. Però resta il fatto che storicamente gli esiti più raffinati della satira si sono visti all’interno dei confini del conservatorismo anarchicheggiante. Penso oltre a Guareschi al Selvaggio del grande Mino Maccari. Eppoi Longanesi, Ennio Flaiano, Carletto Manzoni e l’elenco sarebbe molto lungo.

La sinistra invece non sa ridere perché vive da sempre nel proprio complesso di superiorità morale. Un malvezzo che ha conservato pure dopo aver smarrito la propria stessa identità e che risente di quel bagaglio politico-filosofico che pretendeva di modificare la realtà degli uomini attraverso una pedagogia di massa. La cosa divertente è che a questi signori è rimasta appiccicata addosso la postura di chi vorrebbe imporre la propria verità al mondo, senza più sapere quale sia. Sono irrigiditi in un dogmatismo, direi antropologico, che gli ha sempre impedito di non prendersi troppo sul serio. E Dio ci guardi da chi non sa ridere. Soprattutto di se stesso.

Sei stato tra i fondatori (e caporedattore) di Par Condicio diretto da Caviglia: lì fra gli altri c’era anche Vauro (e Vincino – R.I.P.), Vauro è davvero così…”sanguigno”? Andavate d’accordo?

Un toscanaccio inguaribile. Litigavamo su tutto, come quelli che, in fondo in fondo, si vogliono bene. Perché la satira, come ogni forma d’arte, è un linguaggio universale che ti unisce.

Si accendeva una sigaretta dietro l’altra ripetendomi che se c’è un sacco di gente che è riuscita persino a smettere di fumare, avevo buone speranze anche io di riuscire a smettere di essere di Destra. Io il vizio non l’ho perso. E nemmeno lui…

Hai anche lavorato a La voce del ribelle, il mensile diretto da Massimo Fini: oggi c’è gusto ad essere ribelli in Italia?

È un’impresa disperata. La rivoluzione digitale, e lo tsnuami dei social, hanno messo a disposizione del potere mezzi di omologazione potentissimi che i dispotismi più sanguinari del passato non potevano neanche immaginare. Entrano nella nostra intimità, determinano le nostre scelte, forgiano la nostra estetica, i nostri gusti e le nostre opinioni, spacciando questa galera per un’estensione della nostra libertà. Essere ribelli oggi significa disconnettersi da tutto questo. Ed è sempre più difficile…

Qual è la vignetta “dei tuoi sogni” che un giorno vorresti realizzare?

Quella che non c’è. Nel senso che ogni tanto penso che mi piacerebbe vivere in una Repubblica platonica con al vertice una classe politica infallibile. Un luogo ideale nel quale tutto funzioni al meglio e non ci sia bisogno di noi fustigatori dei costumi armati di matita.

Ma so che è un’utopia. E in un certo senso, meno male, altrimenti sai che palle?

Al di là delle battute la perfezione non è di questo mondo e, per dirla con Kant, l’uomo è fatto di legno storto. Ridere è l’unico modo serio di affrontare questa condanna esistenziale.

Il segreto è andare avanti con tenacia e con passione sulla strada segnata nel nostro destino, ma senza mai prenderci troppo sul serio. Dunque avanti con la prossima vignetta…

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