“Putin ha missili vecchi, Zelensky pochi carri armati dall’Occidente”
Umberto De Giovannangeli — 5 Febbraio 2023
L’Europa, la guerra e il “bivio impossibile” che si sta avvicinando. Il Riformista prosegue il dibattito con il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali).
Sostiene il direttore di Limes Lucio Caracciolo: “Quando le forniture a Kiev non basteranno più ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga. Questo ‘bivio impossibile’ si sta avvicinando, a vantaggio di Mosca”. Generale Camporini, è d’accordo?
No, non credo che siamo giunti a questo punto. Al di là delle dichiarazioni roboanti di Mosca, le cose attualmente sono abbastanza stabili. Non ci sono grossi movimenti. Putin sta cercando in tutti i modi di ottenere qualche successo tattico per potersi presentare alla sua opinione pubblica non sulla difensiva, ma non vedo grossi mutamenti sul fronte e neanche dal punto di vista politico. Non c’è nessuna escalation in corso. C’è semplicemente la preparazione delle truppe, che avviene sia da parte ucraina sia da quella russa, per quello che potrebbe accadere in primavera.
I carri armati Abrams e Leopard2 promessi da Stati Uniti e Germania a Kiev, che impatto possono avere sugli equilibri in campo? Intanto Mosca attiva i missili ipersonici.
Anche qui, bisogna sapere di cosa si parla. I russi hanno usato recentemente missili che vanno ad una velocità quattro volte quella del suono, ma sono missili di una concezione antica, concepiti per la guerra contro le navi, che stanno usando perché probabilmente hanno un problema di approvvigionamento. Si tratta di missili vecchi, con un grado di precisione veramente minimale, che fanno danno ma che non necessariamente vanno a colpire i gangli vitali dell’avversario. I carri armati forniti dall’Occidente possono fare la differenza, ma ad una condizione.
Quale?
Se ci sono i numeri adeguati. Non sono certamente trentuno Abrams e dodici Leopard che possono cambiare le cose sul terreno. Per spostare davvero gli equilibri sul campo dovremmo parlare di numeri a tre cifre.
Oltre che più carri armati, il presidente ucraino chiede all’Occidente anche missili a lungo raggio.
Quella di Zelensky è una richiesta che tiene conto della minaccia che in questo momento viene portata dalla Russia. I missili antinave di cui parlavo in precedenza, vengono lanciati da bombardieri Tupolev Tu-95 e Tupolev Tu-22 che decollano dalle basi russe che sono a distanza di qualche centinaia di chilometri. Salgono in quota, rimangono sul territorio russo, qualche volta vanno sulla Bielorussia e lanciano i loro missili. Per contrastare questi missili la cosa più efficace è attaccare i bombardieri che li portano. E questo presuppone una disponibilità da parte dell’Ucraina di missili a lungo raggio. Questa sì che sarebbe una escalation.
A proposito di escalation: l’invio di truppe da parte dell’Europa, prospettata dal direttore di Limes.
Non credo che l’ipotesi di un impiego diretto delle nostre forze sia neanche lontanamente nella testa di qualche governante, almeno di qualcuno che conta per davvero. Non lo credo e penso che chi lo sta paventando in realtà stia in qualche modo drammatizzando le cose. I nostri paesi stanno partecipando a questa tragica vicenda con un supporto tecnico, militare, logistico, ma non ci si spingerà fino all’impiego di nostri soldati sul terreno.
Il 24 febbraio sarà un anno dall’inizio della guerra. Mosca pensava ad un blitzkrieg, ad una guerra lampo. Putin e i suoi generali hanno fatto male i conti. Generale Camporini, si può azzardare una previsione di durata del conflitto?
Eviterei di avventurarci in previsione. Ne abbiamo fatte tante in questi mesi e alla fine, parlo almeno per me, ho dovuto cospargermi il capo di cenere. Ciò che si può dire con qualche certezza è che nell’attuale situazione politica questa guerra è destinata a durare ancora a lungo. Gli ucraini non hanno alcuna intenzione, giustamente, di arrendersi. E Putin non solo non ha l’intenzione ma credo che a questo punto non abbia nemmeno più la possibilità di fermarsi. Perché se si ferma è politicamente perduto. La lotta di potere al Cremlino è sotterranea ma c’è, basta vedere gli atteggiamenti e le esternazioni di Prigozhin e di altri personaggi che lamentano una mancanza di energia da parte del presidente russo. Putin non può fermarsi. Il che significa che dobbiamo aspettarci che la guerra duri ancora. Un anno e mezzo, due anni, sono tempi realistici.
Restano in campo le sanzioni. Molto si discute sulla loro efficacia.
La mia opinione è che dovremmo verificare l’andamento di queste sanzioni nel tempo. Come è ben noto, risultano essere molto costose per chi le impone all’inizio, nel medio periodo diventano insopportabili per chi le subisce. Proprio ieri vedevo i grafici della vendita di idrocarburi da parte russa, con il crollo verso l’Occidente e una quasi impercettibile crescita verso Oriente. Ma il mercato orientale per gli idrocarburi russi non può assolutamente compensare quello che Mosca sta perdendo adesso. Il che significa crollo della valuta che arriva, e di conseguenza una minore disponibilità sul mercato finanziario. Per restare sulla Russia, è importante soffermarci su ciò che è avvenuto ai vertici militari. Mi riferisco all’assunzione da parte di Gerasimov del comando delle operazioni. Le confesso che sono rimasto letteralmente basito. Io sono stato a capo della difesa, avevo a disposizione le mie strutture di comando – il comando operativo interforze con tutte le sue articolazioni. Ebbene, non mi sarei mai sognato di esautorare il mio comandante operativo per assumere direttamente il controllo delle operazioni. Per me questo ha un significato molto chiaro: non mi fido più dei miei generali. A questo punto viene meno uno dei fattori chiave per condurre una campagna militare che abbia un minimo di probabilità di successo. Viene meno, ad esempio, la capacità di delegare le decisioni, perché non mi fido e quindi devo decidere tutto in prima persona. Ma questo vuol dire rallentare il processo decisionale al punto tale che l’avversario può prendere qualsiasi iniziativa e io sono costretto soltanto a reagire. È stato un segnale molto serio che a mio avviso non è stato rimarcato a sufficienza.
Il dibattito si concentra essenzialmente sull’aspetto militare. Ma la politica che fine ha fatto in questa storia?
Bella domanda. La politica purtroppo, almeno a livello di comunicazione, è silente. Sono convinto che a livello riservato ci siano attività in corso ed è bene che rimangano a livello riservato perché soltanto lontano dal pubblico si possono trattare questi argomenti in modo tale da tentare di far convergere le posizioni verso un compromesso che non soddisfi egualmente tutti e due. I compromessi per loro natura non sono soddisfacenti. Devono essere non soddisfacenti in egual misura per i contendenti.
Ma un punto di caduta sostenibile è possibile delinearlo?
È un punto di caduta che comunque va a sconfessare l’azione russa. Quello di cui si parlava all’inizio, durante le prime fasi dell’invasione, con i colloqui che erano stati molto timidamente iniziati, era un congelamento della Crimea per quindici anni, una sostanziale autonomia all’interno dei confini dell’Ucraina del Donbass con delle istituzioni autonome particolarmente efficaci, sotto supervisione internazionale, la rinuncia dell’Ucraina di far parte della Nato. Questi erano i termini di cui si parlava a marzo dell’anno scorso. Questa per me rimane tuttora una soluzione che salvaguarda il diritto internazionale. È certo che sarebbe una sconfessione dell’operazione lanciata da Putin e quindi non credo che i russi siano disponibili ad una soluzione del genere. Credo che non si possa accettare nulla di meno.
Siamo ad una guerra di logoramento?
Direi di sì. Una guerra di logoramento e di lunga durata. Anche se si potrebbe verificare la sospensione delle operazioni belliche propriamente dette. È la cosiddetta “sindrome” o “modello” coreano. Sarebbe comunque una pessima soluzione perché vorrebbe dire avere l’ennesimo conflitto congelato all’interno del perimetro europeo.
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
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