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Giovanni Impastato: «Trasmettere la memoria e difendere la dignità»

Una lezione antimafia speciale di Giovanni Impastato agli studenti di Corato: «Peppino scelse la legalità»

Gianpaolo Balsamo

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Gianpaolo Balsamo

05 Aprile 2023

«Bisogna andare oltre i cento passi, perché la storia di Peppino è una lezione attuale sul senso della legalità». Quando Giovanni Impastato, oggi 70enne, racconta la storia del fratello, assassinato per mano della mafia il 9 maggio del 1978 (giorno in cui, per una tragica coincidenza, fu anche ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro) perché, da giovane giornalista con la sua «Radio Aut», infranse il tabù dell’omertà nella piccola Cinisi sfidando la criminalità organizzata e svelando alleanze e connivenze. Giovanni, però, tiene lo sguardo ben fermo sul presente.

Il rischio di ridurre Peppino Impastato ad un eroe d’altri tempi o ad una semplice icona del suo tempo, è troppo grande, soprattutto se il messaggio è rivolto ai giovani studenti dell’Istituto d’istruzione superiore superiore «A.Oriani-L.Tandoi» di Corato che, ieri, hanno partecipato ad uno dei suoi molteplici incontri organizzato in collaborazione con l’associazione «Angeli senza frontiere» di Bitonto.

Lo incontriamo nella presidenza del liceo «Oriani». Con lui ci sono alcuni docenti, il dirigente scolastico Francesco Catalano e il presidente di «Angeli senza Frontiere» Vito Plantamura.

«Agli studenti di Corato così come a tutti quei ragazzi che ho incontrato in questi anni – ci dice Giovanni Impastato con uno sguardo profondo, pieno di luce e speranza – sollecito sempre di guardarsi sempre attorno per capire quello che sta succedendo. Il mio messaggio è lo stesso veicolato da Peppino e riguarda l’impegno sociale, politico, culturale ed ecologico. Vuole essere un messaggio educativo. Sarebbe un danno enorme rassegnarsi: spalancheremmo le porte alla mafia, al fascismo, al razzismo, a tutti quei mali che non ci aiutano a crescere».

«Vogliamo ricordare Peppino attraverso tutte le cose che è riuscito a fare in quegli anni trasmettendo lo spirito che lo muoveva ai giovani che oggi, tra l’altro, hanno tutta una serie di strumenti che Peppino non poteva nemmeno immaginare. Peppino usava dei mezzi di comunicazione dei tempi: radio, fotografie, volantini. Oggi abbiamo i social, internet, gli smartphone… Pensiamo a cosa avrebbe potuto fare Peppino con i mezzi di oggi! Ecco perché abbiamo la responsabilità di accompagnare i giovani e far loro toccare con mano la storia, sia quella positiva che quella negativa».

L’intervento di Giovanni Impastato nella palestra dell’«Oriani», prende il via dalle vivide memorie dell’infanzia nella bella tenuta dello zio Cesare Mansella, all’epoca al vertice di una mafia ancora circoscritta nel potere e nel raggio d’azione. Giovanni e il fratello maggiore Peppino crescono in un ambiente familiare in cui la mafia è vissuta come normalità, fino al giorno in cui lo zio rimane ucciso in un attentato. L’episodio colpisce profondamente Peppino, che compie la scelta che segnerà il resto della sua vita: «Se questa è la mafia, mi batterò per sempre contro di essa».
Giovanni ricorda la straordinarietà della mamma Felicia ben ancorata ai valori della famiglia: per questo motivo non abbandonò mai il marito, malgrado fosse mafioso. Lo rispettò fino alla fine. «Quando fu costretta a compiere una scelta, non si schierò dalla parte di nostro padre, ma, nonostante la paura, ebbe il coraggio di schierarsi dalla parte di suo figlio, dalla parte della legalità e della giustizia»

Cosa è la legalità?
«Legalità – ribadisce Giovanni con una voce ferma dinanzi agli occhi increduli e curiosi dei ragazzi – non significa rispetto delle leggi, bensì rispetto della dignità umana. Perché se al centro di una legge non c’è il rispetto dell’uomo e della sua dignità, dobbiamo lottare affinché le leggi siano cambiate». E ancora: «La “disobbedienza civile” è un contributo importante per mantenere alti i valori della legalità costituzionale democratica. Lo stesso Don Milani affermava che l’obbedienza non è sempre una virtù».

La mafia si può sconfiggere?
«La mafia è soprattutto un problema sociale e culturale che va affrontato studiando, conoscendo il fenomeno e svolgendo attività culturale legata all’impegno antimafia. Un grande errore è considerare la mafia come un “anti Stato”. Fenomeni antistato sono stati il brigantaggio, il banditismo e le Brigate Rosse. Tutti fenomeni che sono stati sconfitti. La mafia è cambiata e adesso è all’interno delle istituzioni nonostante c’è chi si batte per combattarela. Giovanni Falcone fu il primo a dichiarare che Cosa Nostra è un’organizzazione parallela allo Stato. Fu il primo ad affermare che la mafia, in quanto fenomeno creato dagli uomini, possiede radici che possono essere sradicate. Ci vuole una precisa e costante volontà politica per il raggiungimento di questo importante obiettivo».

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