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De Gregori “Bolla” e “Ermes” Pasolini, italiani ammazzati dai partigiani rossi| CulturaIdentità

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Altri 15 partigiani della Osoppo furono fucilati in quei giorni: tra loro Guido Pasolini “Ermes”, fratello di Pier Paolo.

Dal 7 al 18 febbraio 1945, presso le malghe di Porzûs nel comune di Faedis (Udine), sulle Prealpi friulane, furono uccisi 17 Italiani. Erano combattenti per la libertà uccisi da altri italiani. Oggi chiamiamo quella tragedia l’eccidio di Porzûs, uno degli eventi più controversi della resistenza.

Questo articolo non intende ripercorre quei fatti, che oggi, dopo quasi ottant’anni, sono diventati un argomento di studio più disteso, principalmente dopo che nel 2012 il Presidente Napolitano ha definito l’eccidio di Porzûs “tra le più pesanti ombre (..) della resistenza”, individuandone le radici in un “torbido groviglio [di] feroci ideologismi di una parte, con calcoli e pretese di dominio di una potenza straniera a danno dell’Italia”.

Oggi ricordiamo una vittima di quell’eccidio, il Capitano degli Alpini Francesco De Gregori, che, con il nome di battaglia “Bolla”, era il Comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo. Era nato a Roma il 4 febbraio 1910. Oggi quel nome è noto per i successi musicali di suo nipote, l’omonimo cantautore romano. Nell’anniversario della morte, intendo ricordare lo zio del noto artista nato nel 1951, che è stato chiamato Francesco, proprio in memoria dello fratello del padre.

Era un apprezzato Ufficiale degli Alpini, che aveva frequentato l’Accademia Militare di Modena. Da Tenente dell’8° Alpini, aveva combattuto sul fronte greco-albanese, meritando sul campo una Medaglia di Bronzo e di una Croce di Guerra al Valor Militare. Alla proclamazione dell’armistizio, in un clima di crescente tensione, non esitò a schierarsi contro l’oppressione nazista. Entrò nelle Brigate Osoppo-Friuli, i cosiddetti “fazzoletti verdi”. Nel multiforme panorama della resistenza, che meriterebbe un’analisi meno politicizzata, la Osoppo era una formazione autonoma fondata nel seminario arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943. Erano volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica, appartenenti a gruppi già attivi in zona. Scelsero il nome Osoppo come collegamento identitario col risorgimento friulano, che nel 1848 vide la città di Osoppo resistere all’assedio austriaco lotta per sette mesi.

Il nostro De Gregori, col nome “Bolla”, era diventato il Comandante nella Gruppo delle Brigate Est della Osoppo. In tale veste, nell’autunno 1944 si oppose al passaggio delle formazioni italiane sotto il comando slavo, con l’annessione del Friuli Orientale (dal confine al fiume Tagliamento) alla Jugoslavia. De Gregori denunciò le mire di annessione di un ampio territorio italiano (provincia di Udine compresa, che allora includeva quella di Pordenone) da parte slava, con la sostanziale acquiescenza dei comunisti italiani. Non avrebbe mai immaginato quello che sarebbe avvenuto a febbraio 1945, quando gli italiani della Osoppo rimasero vittime di un folle attacco da parte di altri italiani. Infatti, il 7 febbraio un centinaio di appartenenti ai GAP e capeggiati da Mario Toffanin “Giacca”, raggiunse Porzûs. I gappisti affermarono d’essere in parte dei partigiani sbandati, in parte civili fuggiti da un treno che li portava in Germania. Giunti a contatto con la Osoppo fu inviato presso di loro Fortunato Pagnutti “Dinamite”, un partigiano del quale si fidavano, avendo già svolto l’incarico di staffetta fra i due reparti. “Dinamite” riferì di guidare un gruppo di sbandati che volevano entrare nella Osoppo. Chiese di incontrare “Bolla”. Fu così inviata una staffetta ad avvertire De Gregori, ma quando questa si fu allontanata, il gruppo degli osovani, inferiore di numero, fu fatto prigioniero. La stessa sorte toccò a “Bolla” quando giunse sul posto. “Giacca” lo interrogò per farsi dire dove erano depositate armi. Come raccontato poi dai testimoni, caricato il materiale saccheggiato sulle spalle dei prigionieri, fu formata una colonna per scendere a valle L’operazione non era finita. “Giacca”, alla testa alcuni garibaldini, rimase alla malga con De Gregori e Gastone Valente “Enea” (commissario politico delle Brigate Giustizia e Libertà). Dopo poco furono udite delle raffiche. Era la fine di “Bolla” ed “Enea”. I loro corpi furono poi trasfigurati, pugnalati e sputacchiati. Così veniva ucciso, a 45 anni appena compiuti, il Capitano degli Alpini Francesco De Gregori “Bolla”.

Altri 15 partigiani della Osoppo furono fucilati in quei giorni: tra loro Guido Pasolini “Ermes”, fratello di Pier Paolo.

Alla memoria di Francesco De Gregori è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: «Soldato fedele e deciso, animato da vivo amor di Patria, dopo lo armistizio prodigava ogni sua attività alla lotta di liberazione organizzando, animando e guidando da posti di responsabilità e di comando il movimento partigiano nella Carnia e nella zona montana ad est del Tagliamento.

Comandante capace e soldato valoroso, dopo essersi ripetutamente affermato in numerosi combattimenti, si distingueva particolarmente durante la dura offensiva condotta da preponderanti forze tedesche alla fine di settembre 1944 nella zona montana del Torre Natisone. In condizioni particolarmente difficili di tempo e di ambiente, fermo, deciso e coraggioso riaffermava l’italianità della regione e la intangibilità dei confini della Patria. Cadeva vittima della tragica situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel martoriato lembo d’Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un sol blocco le forze della Resistenza».

L’eccidio ebbe seguiti giudiziari con un lungo processo, che si concluse con pesanti condanne. La sentenza d’appello del 30 aprile 1954, confermata in Cassazione nel 1957, decretò che «la strage (…) fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava». La corte si pronunciò anche in merito alle accuse di collaborazionismo mosse alla Osoppo, concludendo che non esistesse alcuna prova in tal senso e rimarcando non solo l’inesistenza di accordi con tedeschi e fascisti, ma anche la «profonda avversione verso il nazifascismo» di Bolla.

A quasi 80 anni da quei fatti, ricordiamo il Capitano Francesco De Gregori, uno dei tanti militari morti nella guerra di liberazione, con l’auspicio che il lettore possa riappropriarsi, al di là dei revisionismi, di una Storia fatta di eroismo italiano, purtroppo spesso rimosso. Gli Eroi, come Francesco De Gregori, non sognavano un mondo senza armi e senza guerra. Sono Uomini morti, al contrario, per una Nazione, per difendere Valori, per ideali che oggi in tanti sono liberi di ritenere superflui o retrogradi. Mi auguro che questo articolo possa restituire il Comandante “Bolla” nella sua autenticità, senza polemiche e senza che nessuno se ne serva per sbandierare “concetti ideologici” appartenuti a totalitarismi, fortunatamente condannati dalla Storia.

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