Bruxelles, 23 feb – L’Unione europea ha un problema con TikTok, l’app popolare soprattutto tra giovani e giovanissimi. Non potendo interdire – almeno per il momento – l’uso della piattaforma ai 125 milioni di utenti del Vecchio continente che l’hanno installata sui propri cellulari, la Commissione Ue ha però deciso di iniziare dalle basi. Stamattina, infatti, tutti i funzionari dell’Unione europea hanno ricevuto un’email molto particolare. La missiva contiene la richiesta di disinstallare TikTok da tutti i dispositivi aziendali utilizzati dai dipendenti dell’Unione, come tablet e smartphone. Il motivo? Garantire la sicurezza dei propri dati ed evitare che informazioni sensibili finiscano nelle mani del governo di Pechino. Visto che, come tutti sanno, la celebre applicazione di video brevi è di proprietà dell’azienda cinese ByteDance.

Bruxelles contro TikTok

In sostanza, entro il 15 marzo, tutti i dipendenti dell’Unione europea dovranno rimuovere l’app dai loro dispositivi aziendali. E così, per saltare da un video all’altro, i funzionari di Bruxelles potranno visionare TikTok unicamente sui dispositivi personali, ma solo se verranno opportunamente eliminati tutti i documenti di lavoro. Inoltre, è possibile che questa disposizione, impartita dal commissario Johannes Hahn, coinvolgerà presto anche gli europarlamentari e i membri del Consiglio Ue.

Una questione di cybersicurezza

Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, ha spiegato così i motivi che hanno portato al bando di TikTok: «La Commissione europea è un’istituzione e come tale è molto attenta alla protezione della sicurezza informatica, ecco perché che abbiamo preso questa decisione». Come c’era da aspettarsi, la disposizione di Bruxelles non è piaciuta affatto all’azienda che gestisce la piattaforma: «Siamo delusi da questa decisione, che riteniamo sbagliata e basata su pregiudizi», è stato il commento a caldo di TikTok. «Abbiamo contattato la Commissione per mettere le cose in chiaro e spiegare come proteggiamo i dati dei 125 milioni di persone che sono su TikTok ogni mese in tutta l’Unione europea. Stiamo continuando a migliorare il nostro approccio alla sicurezza dei dati, anche attraverso la creazione di tre data center in Europa per conservare i dati degli utenti a livello locale, riducendo ulteriormente l’accesso ai dati da parte dei dipendenti e minimizzando il flusso di dati al di fuori dell’Europa».

Una vecchia battaglia trumpiana

Nonostante queste rimostranze del colosso cinese, però, il dado è tratto e il Rubicone già attraversato. Peraltro, a precisa domanda, Breton ha risposto: «No, non c’è stata alcuna pressione dagli Stati Uniti». In effetti, la presa di posizione dell’Unione europea non è molto dissimile da quella assunta lo scorso dicembre dal governo di Washington, che ha interdetto a tutti i funzionari federali di installare TikTok sui dispositivi aziendali. Una battaglia, questa sulla cybersicurezza, su cui aveva insistito in tempi non sospetti già Donald Trump. Tuttavia, essendo arrivata dal tycoon newyorchese, la proposta era stata vista come un intollerabile atto di censura. Ora che la decisione è stata presa dall’amministrazione Biden, invece, non è volata una mosca.    

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Ma al di là della polemica politica spicciola, le preoccupazioni rimangono e ci sono da tempo. A condividerle con il governo di Washington ci aveva pensato anche il Pentagono. Nonostante tutte le rassicurazioni della ByteDance, che sostiene che i dati degli utenti rimangano in data center situati su suolo americano, vere certezze non ve ne sono. Nemmeno nel nostro caso. Secondo il Gdpr, cioè il regolamento europeo sulla privacy, tutti i dati dei cittadini del Vecchio continente non possono lasciare l’Europa. Non a caso, TikTok ha aperto di recente un data center in Irlanda e altri due sarebbero in cantiere. Eppure, già diversi mesi fa, l’amministratore delegato di TikTok, Shou Zi Chew, aveva ammesso che, pur nel pieno rispetto dei parametri del Gdpr, i dati degli utenti europei di TikTok possono essere visionati con accesso remoto da diversi dipendenti del gruppo aziendale che operano in numerose nazioni occidentali e orientali, tra cui la Cina. Insomma, non proprio il massimo.

Gabriele Costa

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