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Assemblea PD, approvati Manifesto e regole del congresso. L’ultimo discorso di Letta: “Fallito tentativo di sostituire il partito” – Il Riformista

L’Assemblea nazionale del Partito Democratico ha approvato il Regolamento congressuale, con 11 contrari e 24 astenuti, e il nuovo Manifesto dei valori, con 18 contrari e 22 astenuti

Ma l’appuntamento odierno all’Auditorium Antonianum a Roma è soprattutto l’occasione per un confronto indiretto tra i quattro candidati alla segreteria Dem e per l’ultimo discorso da leader del partito di Enrico Letta.

Ed è proprio Letta ad ‘aprire le danze’ con un intervento che inizia con un minuto di silenzio per le vittime iraniane, un abbraccio al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e poi con un invito a tutta l’assemblea a recarsi il 24 febbraio davanti all’ambasciata russa ad un anno dall’invasione dell’Ucraina: “Io finirò il mio mandato il 26 febbraio ed è l’ultima cosa che voglio fare”, dice ai presenti.

Letta parla per circa un’ora con tono dimesso, ma rivendica quanto fatto e soprattutto la necessità di una svolta per la comunità democratica. “Abbiamo bisogno di un nuovo partito, non di un nuovo segretario. E per un nuovo partito serve una base politica, e il manifesto la dà, una base che ci mette nelle condizioni di essere molto ambiziosi per il futuro”, spiega entrando nella polemica-dibattito sul Manifesto dei valori del 2007 del PD, quello del Lingotto weltroniano che è stato sottoposto ad una ‘revisione’ dei principi fondativi ad opera del Comitato degli 85 saggi.

Il ‘nuovo’ manifesto “non si ponga il problema dell’abrogazione del lavoro che fu fatto alla nascita del Pd, nel 2007, da giganti, rispetto ai quali non mi sento di paragonarmi, che rimane parte dell’atto di nascita del nuovo Pd. Sarebbe stato sbagliato metterci a fare le pulci a quel manifesto frutto del contributo, tra gli altri, di giganti del pensiero democratico come Scoppola o Reichlin“, ha aggiunto Letta ribadendo che “dobbiamo vivere un senso di unità che viene prima di tutto. La forza del nostro partito è indispensabile“.

Quanto alle note più personali, Letta ha ammonito leader e ‘leaderini’ del Pd ad aiutare il suo erede: “Il segretario non può passare la giornata a affrontare i conflitti interni”, dice Letta parlando alla platea ‘ibrida’ (parte dell’assemblea era collegata da remoto, ndr), aggiungendo che “amarezze  ingenerosità le tengo per me”.

“È stato un periodo duro, soprattutto per me. Ho avuto soltanto colpi e nessun vantaggio, ma sono rimasto fino alla fine perché convinto che fosse necessario per dare ai quattro candidati la possibilità di rilanciare e scrivere una nuova storia di questo partito”. Letta ha continuato: “In questi mesi c’è stato il tentativo di sostituire il Pd, ma questo tentativo è fallito

Comunque, “esco da da segretario più innamorato di quando ho cominciato da segretario. Vi assicuro che non costruirò un altro partito”.

Ai quattro candidati alla segreteria (Stefano Bonaccini, Elly Schleni, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli), Letta chiede di “parlare tra di voi, il futuro del partito dipende dalla vostra capacità di costruire linguaggi che vi consentano di essere diversi ma di capirvi nei momenti essenziali”.

I quattro candidati

Quattro candidati che prendono a loro volta la parola all’assemblea del partito. Ad aprire è l’ex ministra Paola De Micheli che, ringraziando Letta, sottolinea che “in questi due abbiamo avuto visioni abbastanza diverse. Ho tenuto le mie obiezioni nelle stanze, nella prima fase. In questa fase di candidatura mi sento nel dovere di raccontare delle questioni su cui non sono stata d’accordo. Ma so che ogni volta che non era d’accordo su qualcosa, Letta ha fatto prevalere l’amore per il partito”.

Al nuovo gruppo dirigente la deputata chiede invece che “i comportamenti siano più coerenti e leali”, mentre per quanto riguarda il voto delle primarie si auto-definisce “sindacalista degli iscritti”, sottolineando di aver chiesto “primarie con iscritti che abbiano un voto doppio, per dare loro un potere che gli deriva dalla partecipazione”.

Quindi è il turno di Gianni Cuperlo, ormai ‘storico’ dirigente Dem alla seconda candidatura per la segretaria ed espressione della sinistra del partito. Cuperlo definisce quello attuale “il congresso più importante” perché “in discussione stavolta siamo noi e il nostro destino” e soprattutto perché “oggi al governo c’è una destra che in questi tre mesi ha mostrato il suo volto e anche solo per questo c’è il dovere di costruire un’alternativa”.

Per il deputato il Pd “può può rialzarsi, può riscattarsi. Ci sono senza presunzione e con grande umiltà. In discussione ci siamo noi e il nostro destino”.

Poi la parola passa a Elly Schlein, il volto nuovo di queste primarie Dem. L’ex vice di Bonaccini in Regione Emilia Romagna, come Cuperlo, considera positiva la ricucitura con Articolo 1, i fuoriusciti della sinistra Dem usciti in polemica con Renzi, presenti all’Auditorium Antonianum con l’ex ministro Roberto Speranza.

Quindi loda la scelta del partito, pur non avendo perso da solo il 25 settembre scorso alle elezioni, di “mettersi in discussione aprendosi, in prima istanza ai militanti ma che si apre anche al mondo fuori”.

Quindi la neo deputata eletta come ‘indipendente’ tra le fila Dem elenca alcune parole chiave del ‘suo’ Pd: la lotta alla precarietà, che il governo “ha rimosso”; l’accoglienza, mentre l’esecutivo “in in questi primi mesi ha fatto scelte crudeli, inumane e pure illegali come quelle di bloccare le persone sulle navi, nei porti o allungandone le sofferenze”; l’identità antifascista.

Ultimo a parlare tra i candidati alla segreteria è il governatore dell’Emilia  Romagna Stefano Bonaccini, stando ai sondaggi il favorito ai gazebo del 26 febbraio.

Bonaccini chiede di “tenere aperta” la costituente PD per “richiamare quei milioni di persone che se ne sono andati o hanno votato a destra”, perché “dobbiamo parlare anche a loro”. Quindi attacca la scelta di un percorso congressuale “troppo lungo, mesi e mesi di congresso ci fanno sembrare marziani”.

Ma il governatore ne ha anche per la discussione sul nome stesso del Partito Democratico, definita “incomprensibile”. “Non ho tabù sul nome e sul simbolo ma trovo surreale discutere del nome e non dei contenuti”, sferza Bonaccini. Il candidato alla segreteria spiega quindi la sua idea di partito, “popolare ma non populista”, che “recuperi la vocazione maggioritaria che è il contrario dell’autosufficenza ma vuole dire rivolgersi a tutto il paese senza regalare voti di sinistra al M5S e quelli moderati al Terzo Polo”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

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