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Sarà forse un caso che sino ad alcune ore fa, prima che ne fosse disposto il trasferimento al carcere milanese di Opera, Alfredo Cospito, anarchico 56enne torinese, condannato a 20anni per una serie di attentati terroristici (tra cui l’ordigno fatto esplodere nel 2007 nel quartiere Crocetta di Torino), sia stato detenuto nel supercarcere di Sassari?
Sì. Perché proprio a Sassari sono detenuti al 41bis anche boss del calibro di Leoluca Bagarella, cognato del defunto dittatore di Cosa Nostra Totò Riina, o camorristi di razza come Francesco Bidognetti o Pasquale Zagaria, detto “Bin Laden”, fratello del capo dei capi dei Casalesi, Michele, detto “Sandokan”.
Certo, Cosa Nostra non è più quella delle stragi del 1992 e 1993, quelle che miravano, tra gli altri obiettivi, ad ottenere proprio l’abolizione del carcere duro.
Ma niente di più probabile che a muovere i fili delle rivolte che si stanno propagando in mezza Europa, con una mezza strizzatina d’occhio che arriva da alcune parti politiche, siano proprio autorevoli quanto irriducibili boss di quella drammatica stagione.
Un’ipotesi che fonda le sue radici nella storia e trova eco nelle autorevoli parole di uno sbirro di razza, il prefetto Francesco Messina, il quale, intervistato ieri sera al tg2, ha ricordato che nei penitenziari italiani, nonostante il carcere duro, vi sono ancora boss, come Leoluca Bagarella o i Graviano, che riescono ad esercitare un’enorme influenza.
La Storia? La Storia insegna che i boss non sono nuovi ad accordi, nati proprio nel mondo carcerario, con frange terroristiche di estrema sinistra. Basterà qui ricordare il patto scellerato tra Raffaele Cutolo ed i brigatisti, all’indomani del sequestro Cirillo. O ancora l’incarico che alla fine degli anni 70, la Commissione di Cosa Nostra affidò a Tommaso Buscetta di prendere contatti con i terroristi detenuti nel carcere di Torino, per convincerli alla eliminazione del Generale Dalla Chiesa.
I precedenti dunque non mancano. Ma non è più epoca di ricatti. Costituirebbe un atto gravissimo l’intervento della politica. E il Governo guidato da Giorgia Meloni sembra unanimemente deciso a non cedere. Il caso specifico di Alfredo Cospito non può che essere affidato ai giudici della Cassazione, che dovranno decidere nel prossimo marzo, sul regime carcerario dell’anarchico.
Ma le violenze a macchia d’olio non dovranno e non potranno mai indurre il Governo ad arretrare di un solo passo, intervenendo normativamente sulle norme che disciplinano la misura carceraria riservata a mafiosi e terroristi.
E netta è stata la posizione del Ministro Nordio: “la salute dei detenuti viene prima, ma il 41bis resta”. E non potrebbe essere altrimenti: una posizione diversa, soprattutto dopo città devastate e messe a ferro e fuoco dagli anarchici, significherebbe subire un ricatto inaccettabile e puzzerebbe, questa sì, di “trattativa”.
Si tratterebbe di un provvedimento grave che potrebbe rilanciare il ruolo di Cosa Nostra e, in generale, delle mafie nostrane, rinsaldando il ruolo dei padrini, depotenziati negli ultimi lustri proprio dal carcere duro.