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Si va verso la cancellazione dei vincoli previsti per le assunzioni con contratto a tempo determinato fino a 24 mesi e sarà poi possibile un’ulteriore eventuale estensione di 12 mesi in base ad accordi sindacali a livello territoriale, aziendale, o da inserire nei contratti collettivi (scopri tutti gli annunci e le offerte di lavoro sempre aggiornati. Ricevi su Telegram la rassegna stampa con le ultime novità sui concorsi e sul mondo del lavoro. Prova il nostro tool online per la ricerca di lavoro in ogni parte d’Italia. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).
Per ora è solo un’ipotesi voluta dalla Ministra del Lavoro Marina Calderone, ma di fatto si mette fine al Decreto Dignità voluto dal Movimento 5 Stelle. Di fatto, con la riforma del contratto a tempo determinato nel 2023 si ritorna al Jobs Act.
Indice
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: l’ipotesi in campo della Ministra Calderone
- Quanto possono essere rinnovati i contratti a tempo determinato?
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: le regole per i contratti a termine
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: gli effetti
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: cos’è il Jobs Act?
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: Jobs Act e licenziamento
- Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: il ruolo dei contratti collettivi nazionali
- Fonti e materiale di approfondimento
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Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: l’ipotesi in campo della Ministra Calderone
La Ministra del Lavoro Marina Calderone pensa di ammorbidire alcuni vincoli sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato. In poche parole il Governo si prepara a rivedere le norme del Decreto Dignità approvato dal primo governo Conte.
Lo scrive Il Messaggero indicando che si va verso la cancellazione delle causali previste per le assunzioni con contratto a tempo determinato fino a 24 mesi e che sarà poi possibile una ulteriore eventuale estensione di 12 mesi in base ad accordi sindacali a livello territoriale, aziendale, o da inserire nei contratti collettivi.
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Quanto possono essere rinnovati i contratti a tempo determinato?
Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto è inferiore a 24 mesi e, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero dei contratti.
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: le regole per i contratti a termine
Il Decreto Dignità – approvato nell’estate 2018 dal governo Conte I – ha introdotto una serie di provvedimenti volti a scoraggiare l’utilizzo dei contratti a tempo determinato per relazioni lavorative prolungate.
Da un lato, è intervenuto sui tetti di utilizzo, riducendo la durata massima dei contratti a termine da 36 a 24 mesi, mentre il numero massimo di proroghe contrattuali è stato portato da cinque a quattro.
Dall’altro, ha previsto costi pecuniari e regolamentari per i contratti a tempo determinato più lunghi: un aumento dello 0,5 per cento nella contribuzione a carico del datore per ogni rinnovo e l’introduzione di una causale esplicita per giustificarne l’utilizzo in relazioni lavorative di durata superiore a un anno (e per ogni rinnovo).
L’attuale Governo pensa alla possibilità di ri-ammorbidire alcuni dei vincoli. L’obiettivo principale sembra essere la causale, di cui si vorrebbe “ritardare” l’entrata in vigore rispetto all’inizio del contratto, limitandone quindi il campo di azione: sarebbe necessaria non più dopo un anno, come da decreto Dignità, ma dopo due, con la possibilità di modificare il limite in sede di contrattazione collettiva.
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: gli effetti
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023 – La causale è percepita come un costo rilevante da parte delle imprese. Provando a pronosticare alcuni effetti dell’eventuale riforma, lo “spostamento” del limite di entrata in vigore della causale comporterebbe un aumento marcato e generalizzato della durata dei contratti a tempo determinato.
Dopo l’introduzione del Decreto Dignità la quota di contratti con una durata di oltre un anno al momento della firma è diminuita notevolmente, se si considera la durata effettiva del contratto (ossia proroghe incluse). Le relazioni a tempo di durata superiore a un anno sono infatti praticamente scomparse a partire da luglio 2018.
Al contempo, si osserva un aumento evidente nella quota di due categorie di contratti: quelli appena sotto un anno, a indicare la rilevanza della causale, e quelli di durata inferiore a un mese, presumibilmente utilizzati per soddisfare la domanda residua di lavoro causata dall’assenza di contratti più prolungati.
L’effetto è eterogeneo tra gruppi di imprese. Di fatti, le imprese più grandi e più produttive tendono a ricorrere meno al tempo determinato, e offrono in media contratti a tempo determinato di durata più lunga e con una più alta probabilità di trasformazione.
In sintesi, riteniamo che le possibili mosse del Governo sul tema della causale ridurrebbero le tutele per i lavoratori coinvolti, che vedrebbero estendersi la durata dei contratti a termine, senza facilitare la creazione di nuova occupazione.
Inoltre, un cambio nella regolamentazione genera principalmente una sostituzione tra contratti, con variazioni limitate nella domanda totale di lavoro. I contratti a tempo determinato di più lunga durata sono quelli che hanno una maggiore probabilità di conversione in tempo indeterminato. L’effetto della reintroduzione della causale allo scadere dei dodici mesi prevista dal Decreto Dignità è stato duplice:
- anticipo delle trasformazioni contrattuali, con tempi medi più bassi soprattutto per i determinati iniziati pre-riforma;
- sostituzione con tempo indeterminato, il cui utilizzo “diretto” (ossia senza la presenza precedente di un contratto a termine) è cresciuto dopo la riforma.
A partire da luglio 2018, e ancor più chiaramente dal 1° novembre – data che estese l’applicabilità del decreto anche a proroghe e rinnovi di contratti iniziati prima del luglio 2018 – nelle imprese “esposte” alla riforma sono cresciute sia le trasformazioni da determinato a indeterminato che le assunzioni dirette tramite indeterminato.
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: cos’è il Jobs Act?
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023. Con l’abolizione del Decreto Dignità – e dunque con l’abolizione delle proroghe dei contratti a tempo determinato – di fatto si ritorna ad incrementare la flessibilità del lavoro se non la precarietà. Si ritorna all’impianto del Jobs Act dove la principale strada per avere un contratto a tempo indeterminato era quello delle “tutele crescenti”. Ossia un’assunzione che prevedeva tre anni di prova prima di far scattare l’indeterminato del CCNL. Ma cos’è il Jobs Act?
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: Jobs Act e licenziamento
Con il Jobs Act si indica, informalmente, una riforma del diritto del lavoro in Italia (promossa e attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso l’emanazione di diversi provvedimenti legislativi e completata nel 2016) volta a flessibilizzare il mercato del lavoro.
In tema licenziamento:
In alternativa, entro 30 giorni dalla comunicazione di deposito della sentenza o dall’invito a tornare in azienda da parte del datore di lavoro, il licenziato può scegliere un indennizzo al posto del reintegro, pari a 15 mensilità e privo di contributi.
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: si facilitano le imprese ad assumere a tempo determinato
Se l’ipotesi verrà confermata sarà più facile per le aziende assumere lavoratori a tempo determinato con contratti fino a due anni. Il Decreto Dignità, uno dei provvedimenti bandiera del Movimento Cinque Stelle, aveva introdotto delle stringenti causali alla sottoscrizione di contratti a termine superiori a 12 mesi da parte delle imprese, ossia esigenze temporanee e oggettive estranee all’attività ordinaria; sostituzione di lavoratori; incrementi temporanei e significativi dell’attività.
L’intenzione del Governo, quindi, sarebbe quella di portare un apposito decreto in Consiglio dei Ministri entro la fine di gennaio. La regola generale sarà che fino a 24 mesi i contratti a tempo determinato potranno essere stipulati tra l’azienda e il lavoratore senza la necessità di introdurre una causale.
Riforma del contratto a tempo determinato nel 2023: il ruolo dei contratti collettivi nazionali
Sarà poi possibile una ulteriore eventuale estensione di 12 mesi in base agli accordi che saranno inseriti nei contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali. Saranno quindi questi ultimi a prevedere le causali di una eventuale estensione dei contratti a termine. I contratti collettivi potranno inoltre stabilire che le causali si applicano prima dei 24 mesi in deroga alla regola generale che sarà l’assenza di vincoli per i contratti fino a due anni.
Fonti e materiale di approfondimento
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